venerdì, novembre 24, 2006
VARCHIFESTIVAL
Numero speciale
EDITORIALE
Vi presentiamo di seguito un numero speciale sul festival di storia contemporanea tenutosi a Frascati negli ultimi giorni di ottobre. Una manifestazione coinvolgente che ci ha molto colpito per i temi trattati e la bellissima atmosfera nella quale si è svolta.
Come vedrete, a tratti la passione ed il fervore hanno preso la mano agli autori che si lanciano in interpretazioni del tutto personali. Anche per questo motivo abbiamo deciso la pubblicazione di un numero speciale che si permette un tono molto più colloquiale del solito. Buona lettura.
IL FESTIVAL VISTO DA PAOLO
Il Settore Attualità e Storia è riuscito finalmente ad andare a vedere il “festival di storia (in)contemporanea” che si è svolto dal 29 settembre al 1° ottobre scorsi a Frascati (Roma).
Varchi è una manifestazione a carattere internazionale incentrata su una serie di eventi (conferenze, tavole rotonde, presentazioni di libri, proiezioni di inchieste televisive) che hanno tutti come tema la storia, non solo come studio del passato, ma anche come interpretazione del presente.
Tutti gli eventi sono aperti al pubblico e si svolgono nell’aula del consiglio comunale di Frascati, in un auditorium e nelle due sale del cinema cittadino.
Il festival serve anche come approfondimento e come svolgimento di diversi progetti di studio per studenti universitari e delle scuole superiori, ragazzi che rappresentano la stragrande maggioranza del pubblico presente.
In due giorni abbiamo assistito a sette eventi, facendo una scelta fra gli incontri che si svolgevano in contemporanea.
Pur nel rispetto degli orari, il festival lascia la sensazione di non essere dominato dallo scandire delle lancette, anche perché i luoghi degli incontri si raggiungono a piedi in pochi minuti.
Il primo incontro “La democrazia nell’Italia della prima Repubblica. DC e PCI: antagonisti e comple-mentari?”ci ha riportato nel secondo dopoguerra e ci ha raccontato la politica di una volta, con la forte contrapposizione fra DC e PCI.
Abbiamo poi incontrato l’autore di “Romanzo criminale” (Giancarlo De Cataldo) che ha spiegato le sue impressioni nello scrivere il libro e i diversi atteggiamenti che ha uno scrittore di fronte all’adattamento di un suo libro per il cinema.
Nel pomeriggio “Sessant’anni della Repubblica e non li dimostra? Conferme e innovazioni nella Costituzione italiana” ha affrontato l’attualità della nostra Costituzione, che deve ancora essere applicata completamente e non è assolutamente “sorpassata”.
L’“intervista sull’Iran” ad un rappresentante dell’Università di Teheran ci ha spiegato che la maggioranza del ceto medio non segue l’estremismo religioso di cui si sente parlare in Italia, ma nei paesi arabi è invece una forte minoranza della popolazione quella che segue la religione tradizionale più intransigente.
Una veduta della villa Aldobrandini.
Villa Aldobrandini si mostra in tutta la sua imponenza per la posizione elevata e privilegiata; essa è praticamente assurta a simbolo di tutte le antiche dimore che costellano il territorio tuscolano.
Frascati (20.900 ab.) sorge a 320 metri sul livello del mare sui declivi settentrionali dei Colli Albani a 21 chilometri da Roma sulla Via Tuscolana.
Il giorno dopo, sabato, “Islam, identità inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente” ha affrontato il problema dell’adattamento alla cultura occidentale dei musulmani che vivono in Europa, mentre l’incontro con gli autori del libro “Generazione 1000 euro” ha raccontato l’esperienza dei lavoratori senza un lavoro fisso.
Nel pomeriggio abbiamo assistito alla proiezione di una puntata di “La Storia siamo noi” che affrontava gli scontri fra i ragazzi di estrema destra ed estrema sinistra nella Roma e nella Milano degli anni Settanta.
L’impressione generale che mi ha lasciato il festival, a parte la sensazione di vivere la giornata momento per momento, è stata quella di sentirmi partecipe di un evento, quasi non fossi solo uno spettatore.
Si possono leggere i giornali e i libri, vedere e partecipare a conferenze e incontri in televisione o tramite videoconferenza, ma non è la stessa cosa.
Quello che si vede e soprattutto si percepisce dal vero, cogliendo le sfumature, i gesti, l’ambiente sono sensazioni che si possono vivere solo a contatto con le persone. Varchi è anche questo: la storia va vissuta!
LA F.I.F. HA DIECI ANNI
Era il 29 settembre del 1996 quando i sette soci fondatori si trovarono al rifugio di San Lucio vicino a Clusone (BG) per “mettere le gambe sotto il tavolo”, seppure appena il giorno prima avessimo tutti partecipato ad un matrimonio.
Nacque così l’idea di fondare una “Federazione” la cui attività principale avrebbe dovuto essere di organizzare degli incontri gastronomici in ogni dove.
Domenica 1° ottobre ci siamo così ritrovati nello stesso luogo di dieci anni fa per ricordare l’anniversario.
IL FESTIVAL VISTO DA STEFANO
Il festival della storia (in)contemporanea tenutosi a Frascati credo sia stata un’ottima occasione per mettere a fuoco un punto che ritengo essenziale nel nostro agone politico.
Non sto ad elencare i vari ed evidenti meriti di questa manifestazione rivolta ai giovani studenti, ma dal profilo sufficientemente ampio per interessare anche i meno giovani, un misto di storia, cultura e arte che intriga e fa riflettere, una vera immersione totale in temi che troppo spesso ci sfiorano ma non riescono a smuoverci.
Tre incontri sono stati per me importanti, con un filo comune che ho identificato solo alla fine della tre giorni nell’accogliente cornice dei colli romani.
Nel dibattito di apertura, protagonisti da un lato due storici del calibro di Roberto Gualtieri e Giovanni Sabbatucci e dall’altro gli onorevoli Reichlin e Follini, si è dapprima discusso dell’anomalia italiana rappresentata da un cinquantennio praticamente a senso politico unico: la DC al governo e il PCI all’opposizione.
I due blocchi, nonostante il notevole consenso riscosso, non hanno saputo o voluto rinnovarsi arrivando alle porte degli anni ’90 con il fiato corto e la crisi della prima Repubblica che toglieva l’ultima possibilità di un passaggio morbido ad un sistema dell’alternanza che avrebbe potuto giovarsi dell’esperienza precedente.
E’ stata poi la volta del commento politico con la forza oratoria che subito vede un’impennata nelle abili mani di Reichlin e Follini, che si rinfacciano la colpa dell’attuale situazione di stasi. Follini accusa la vecchia classe dirigente politica di non avere approfittato della caduta del muro dell’89 per voltare pagina e Reichlin accusa Follini, e con lui la nuova classe dirigente, di non avere la forza aggregante che DC e PCI erano in gradi di mettere a disposizione del Paese.
Un passaggio storico incompiuto, quindi, un cinquantennio con il quale è difficile fare i conti.
Il secondo incontro ha visto protagonista Valerio Zanone, presidente della Commissione per la conservazione della Costituzione.
Il giudizio di Zanone sulle recenti riforme (governi D’Alema e Berlusconi) è piuttosto netto e non dà adito a dubbi: leggi di riforma da dimenticare, che non affrontano con organicità la revisione della Costituzione.
Zanone accenna poi al fatto che lo stesso articolo 138 (“revisione costituzionale”) vada rivisto, in modo da impedire che la carta fondamentale del nostro Paese sia in balia di qualunque maggioranza parlamentare senza una sufficiente qualificazione numerica.
Il terzo incontro per me di rilievo ha proposto un dibattito con alcuni esponenti del mondo islamico in Europa: Soheib Bencheikh, Mufti di Marsiglia, Abd al-Haqq Kielan, presidente dell’Associazione islamica svedese, Mohsen Kadivar, dell’università di Teheran.
Sul tavolo le questioni che siamo abituati a sentire nei dibattiti televisivi o sui giornali: legge religiosa e legge dello stato, diritti delle donne, l’integralismo. L’incontro è stato molto animato e volto soprattutto ad evidenziare quelle differenze culturali che sono al centro del “problema” islamico, il grande problema che attanaglia i paesi come il nostro, mete di copiose immigrazioni.
Questi, in breve, i temi dei tre incontri.
A posteriori mi è sembrato di riconoscere in essi un filo conduttore: la ricerca della soluzione di un problema piuttosto che la volontà di cogliere un’opportunità.
E’ da qualche tempo che si parla della revisione della Costituzione, ma quando si guardano le proposte concrete ci si accorge che si tratta di modifiche buone al massimo a sistemare qualche “bega condominiale” tra i tre poteri dello Stato. Ciò che manca, e manca in modo drammatico, è uno slancio, un impeto, una proposta che sposti la linea del traguardo in modo netto.
La Costituzione in vigore, quando divenne operativa il 1 gennaio del 1948, non ratificava solamente un nuovo “status quo”, ma proponeva degli obbiettivi che ci vollero decenni per realizzare e ancora non sono del tutto compiuti. Senza un sogno, senza un traguardo “più in là” non vedo il senso di una revisione costituzionale e tanto meno vedo il senso di una Costituzione Europea costruita con il bilancino per fare tutti contenti, nella quale si vorrebbe dare peso più alla storia passata che a quella futura, ratificare un passato piuttosto che proporre una strada nuova, portare quell’ ”elan vitale” che secondo me è il vero e unico cuore pulsante di una Costituzione propriamente detta. Ugualmente mi sembra che il “problema” islamico si debba risolvere con coraggio cercando di non vedere solo il “problema”, che c’è e sarebbe stupido non ammetterlo, ma vedendone la grande opportunità. Sono troppo ignorante in fatto di islamismo e razionalmente confesso di essere un po’ distante da tale cultura, voglio però ricordare un’emozione fortissima che provai quando vidi la bellissima mezquita di Cordoba con la sua mirabile selva di colonne così orrendamente interrotta da una cattedrale cristiana costruita all’interno della moschea dopo che questa era stata destinata a culto cristiano.
Non perdete tempo, ora, a stracciarvi le vesti cari lettori cattolici (come sono io) non sto facendo apologia di religione, né rispolverando il ritrito tormentone delle crociate, sto solo dicendo che chissà quale stupendo edificio proteso verso l’infinito potrebbero realizzare insieme in una nuova simbiosi i maestri della mezquita di Cordoba e quelli della basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze, dell’Alhambra di Granada e della cattedrale di Notre Dame a Parigi.
No, per niente, non mi sento offeso dall’accusa di relativismo culturale, che pure ritengo pericoloso, mi sento i piedi ben piantati nella mia storia, ma vedo anche l’inevitabilità dello slancio in avanti verso l’area grigia del dialogo con il diverso da me, con tutti i rischi che questo comporta.
E, infine, se facessimo questo sforzo, questo salto in avanti, sono sicuro che le diatribe dei primi 50 anni repubblicani, così come discussi nel primo incontro, si risolverebbero in modo definitivo e farebbero anzi da punto di appoggio per questo nostro viaggio in avanti così pieno di insidie ma ricco di opportunità, così imprescindibile per chi non può né vuole fermarsi ad aspettare “giorni migliori”, ma vuole contribuire a costruirli.
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