giovedì, febbraio 15, 2007

 

VERSO IL CENTROSINISTRA IN ITALIA

EDITORIALE

Continuiamo a parlare dell’evoluzione della politica italiana nella seconda metà degli anni ’50. In questo numero non è presente la parte de “I FATTI” in quanto andremo declinando con maggiore dettaglio le posizioni delle principali forze politiche e i cambiamenti che esse subirono nello stesso arco temporale analizzato nel numero precedente, dove abbiamo centrato l’attenzione sulla compagine strettamente governativa. Per capire lo spostamento del baricentro politico verso sinistra che si determinò agli inizi degli anni ’60 è importante dare conto di una serie di cambiamenti che interessarono i partiti e che furono ulteriori premesse (oltre a quelle già evidenziate nel numero 23) alla svolta messa in atto dalla corrente dorotea della DC.

Nella seconda parte diamo notizia dell’elezione dei nuovi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dei compiti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Buona lettura.


UNA “DEMOCRAZIA SPECIALE”


La transizione dell’Italia ad una democrazia compiuta è stata lenta e molto tormentata. Così come il vecchio Stato liberale non aveva avuto una formazione compiuta, vessato dal trasformismo e da rapporti sbilanciati tra società civile, nobiltà agricola e proprietà industriale, così lo Stato democratico veniva costruito in modo distorto e disorganico, con una sproporzionata forza dei partiti (soprattutto DC e PCI) che sostituivano le proprie macchine organizzative alla dialettica democratica tra soggetti e realtà variegate della società civile, economica e politica. Tramontato il progetto socialista di interporsi come forza di rappresentanza alternativa nella sinistra, DC e PCI rimasero a contrapporsi come blocchi monolitici, con un’alternanza resa di fatto impercorribile dal posizionamento politico del PCI in quegli anni, sia nel contesto italiano che nel contesto internazionale. Aldo Moro più di una volta nei suoi scritti definì quella italiana una “democrazia speciale”, difficile e incompiuta nel processo di democratizzazione e costituzionalizzazione delle sue stesse forze politiche. Fu questa una delle sue argomentazioni per motivare la sua apertura ai socialisti dopo il 1959, in qualche misura sperando che tale allargamento della compagine governativa avrebbe aiutato la difficoltosa transizione ad una democrazia compiuta.

IL FERMENTO NEL PARTITO SOCIALISTA

Rotto definitivamente il patto frontista con il PCI in seguito alla dura repressione effettuata dall’URSS nel 1956 in Ungheria, mai definitivamente condannata dal PCI, all’interno del partito socialista si aprì un complesso e profondo dibattito interno che avrebbe portato alla formulazione di una nuova linea politica. Nenni suggeriva la formula di una “alternativa democratica” con cui il PSI, autonomo dal PCI e in contrapposizione al blocco di interessi conservatori che la DC rappresentava, si faceva promotore di una iniziativa di rinnovamento radicale della società italiana. Benché la linea di Nenni si stesse muovendo verso le più avanzate socialdemocrazie europee, essa non era ancora in grado di liberarsi completamente dalle impostazioni dottrinali proprie della Seconda Internazionale (che affermava l’opportunità della costituzione di partiti socialisti nei vari paesi, evitando alleanze con i partiti “borghesi”). Vi era certo la volontà di un’apertura verso la DC, ma per sostanziare questa scelta Nenni e i suoi si portavano dietro vecchie idee sullo Stato democratico, come strumento per la transizione del sistema economico e sociale dal capitalismo al socialismo. Benché, inoltre, nel dibattito culturale socialista si cominciasse a tener conto dell’economia Keynesiana, l’impostazione politica ed economica rimaneva per larga parte quella del “pianismo”, caratteristico dei programmi del movimento operaio europeo degli anni Trenta.

La sinistra del partito, intanto, andava riscoprendo il “socialismo di sinistra”, nel quale veniva riproposta la discrasia dialettica tra “movimenti” e “partiti di classe”, ed era il primo di questi due termini ad essere privilegiato e a essere posto a fondamento di un’”azione rivoluzionaria” che doveva porsi all’interno del sistema e progredire gradualmente nel tempo, fondandosi sulla capacità di espansione delle più diverse forme di organizzazione di massa. Questa posizione portava tuttavia necessariamente alla negazione dello stesso partito come forma primaria di azione politica.

Un’ultima posizione all’interno del partito socialista fu quella di tipo riformista che rivedeva le teorie marxiste alla luce della negazione dello stalinismo e analizzava soprattutto il rapporto tra politica ed economia, e per questa via cercava di allargare le basi analitiche del concetto di “pianificazione economica” alla realtà del mercato capitalistico. Si riteneva che una politica “dirigistica” fosse compatibile con il regime di mercato e indispensabile per ricondurre la crescita economica entro obbiettivi di ordine sociale e politico. Questa via, però, si sarebbe rivelata presto troppo angusta, priva di una sufficiente considerazione delle caratteristiche strutturali e delle interdipendenze del capitalismo a livello internazionale.

Tutto questo fermento, in ogni modo, allargava le maglie di numerosi preconcetti ideologici e culturali e molti degli apporti contemporanei sia della scienza economica, sia di quella sociologica, uscivano dal loro chiostro disciplinare per entrare nel più generale dibattito culturale e politico.


IL PCI E L’UNITA’ NELLA DIVERSITA’


Con l’VIII congresso del PCI e sotto la spinta dei fatti di Ungheria Togliatti aveva liquidato la vecchia guardia stalinista del partito, sostituendole la generazione successiva, che dello stalinismo era stata figlia, ma non complice, e affidando a essa gli incarichi chiave della direzione: Amendola, Ingrao, Alicata, Lama, Macaluso, Natta, Napolitano e Reichlin sono alcuni degli uomini chiave della nuova dirigenza comunista. Indubbiamente il partito di massa che ne conseguiva poteva dirsi postleninista, ma rimaneva ancora leninista la concezione della “lotta di classe” e dell’“azione di massa”. L’azione parlamentare veniva riconosciuta, ma era l’”azione di massa” la vera leva di un processo di transizione al socialismo. Il rapporto Chruscev al XX congresso del PCUS del 1956, dove veniva criticata pesantemente la linea stalinista, fu l’occasione per Togliatti per allargare lo spazio di manovra del suo partito prendendo le distanze dal partito sovietico. Un ulteriore passo verso una relativa autonomia dall’URSS venne compiuta da Togliatti nel memoriale di Yalta, dove, nel contesto dello scontro tra URSS e Cina (si veda il numero 3 del bollettino FIF), preoccupato dall’unità del movimento comunista internazionale, sosteneva le tesi sovietiche senza però volere rompere con i cinesi. Fu questa la formula politica dell’”unità nella diversità”, che postulava la parità e la bilateralità dei rapporti tra partito italiano e sovietico. Bisogna comunque sottolineare che il “sovietismo” continuava a costituire la forma primaria di identità ideologica e politica per i militanti del PCI e ciò sarà vero fino ai primi anni ’80. L’autonomia italiana poteva e doveva dunque essere coniugata con la politica sovietica. Questo imperativo determinava anche le modalità di dibattito nel partito che sostanzialmente vedeva il centralismo democratico come modello di riferimento per la dirigenza del PCI. Nel rapporto con gli altri partiti la nuova linea del PSI, che si interponeva come terza forza nel dibattito con la DC, costituiva un pericolo per il PCI che cercò quindi in tutti i modi di sobillare l’ala sinistra del PSI per intralciare i piani di Nenni, dispiegando una propaganda capillare sulla necessità di continuare a garantire l’unità della classe operaia, tema al quale la tradizionale base socialista era sensibile.


ATTUALITÀ



L’Italia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU


Il 16 ottobre scorso Italia, Belgio, Indonesia e Sudafrica sono diventati membri non permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU per il biennio 2007-2008.

I quattro Paesi dal primo gennaio 2007 prenderanno il posto di Danimarca, Grecia, Giappone e Tanzania. I nuovi membri non permanenti entrano nel Consiglio di Sicurezza per i prossimi due anni insieme ai cinque permanenti (Russia, Cina, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) e ad altri cinque membri non permanenti già eletti (Congo, Ghana, Perù, Qatar e Slovacchia).

È rimasta a lungo  incerta invece l'elezione del membro che rappresenta l'America Latina al posto dell'Argen-tina. I candidati erano Guatemala e Venezuela, il primo appoggiato dagli Stati Uniti che si oppongono al presidente venezuelano Hugo Chavez.

La decisione per il seggio latino-americano si è protratta fino ai primi di novembre, quando il seggio è andato a Panama dopo che Venezuela e Guatemala si sono ritirati dalla corsa per il posto nel Consiglio di Sicurezza dopo 47 votazioni in cui non si era raggiunto il quorum dei due terzi dei voti (124 voti).

Il Guatemala era risultato sempre in vantaggio ma non aveva mai ottenuto il quorum dei due terzi dei votanti necessario per conquistare il seggio non permanente destinato all'America Latina.

Italia e Belgio (in rappresentanza dell’Europa), Sudafrica (per l’Africa) e Indonesia (per l’Asia) erano stati eletti il 16 ottobre, alla prima votazione.

Per l'Italia è la sesta volta al Consiglio di Sicurezza, l'ultima volta nel biennio 1995-1996.

Continuano a sedere al Palazzo di Vetro, invece, Congo, Ghana, Perù, Qatar e Slovacchia, in carica fino al 2007, mentre Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti sono membri permanenti con diritto di veto.

ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), organizzazione internazionale, con sede a New York, costituita fra gli Stati che hanno accettato di adempiere agli obblighi stabiliti dallo statuto (o Carta) delle Nazioni Unite (sottoscritto nella conferenza di San Francisco il 26 giugno 1945, entrato in vigore il 24 ottobre 1945) al fine di salvaguardare la pace e la sicurezza mondiali e di istituire tra le nazioni una coopera-zione economica, sociale e culturale.

Assemblea generale

Supremo organo deliberante, l'Assem-blea generale è composta da tutti gli Stati membri, ognuno dei quali ha diritto a un solo voto. Le deliberazioni sono prese a maggioranza di due terzi dei presenti e votanti per le questioni più importanti e cioè: mantenimento della pace e della sicurezza internazio-nale; elezione dei membri non permanenti del consiglio di sicurezza, dei membri del consiglio economico e sociale, dei membri del consiglio di amministrazione fiduciaria; ammis-sione, esclusione e sospensione degli Stati membri; questioni relative al funzionamento del regime di amministrazione fiduciaria e quelle di bilancio (fra cui la fissazione dei contributi finanziari cui sono tenuti i singoli Stati membri). Tutte le altre deliberazioni sono prese a maggio-ranza semplice dei presenti e votanti.

L'Assemblea generale si riunisce in sessione ordinaria ogni anno e in sessioni straordinarie tutte le volte in cui ne faccia richiesta il consiglio di sicurezza.

Consiglio di sicurezza


Organo esecutivo in materia politica, è composto di 15 membri: 5 permanenti (Stati Uniti, Russia - fino al 1991 URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina popolare); 10 eletti dall'Assemblea generale; ogni anno l'Assemblea elegge cinque membri non-permanenti che restano in carica per due anni. Ogni membro del consiglio di sicurezza dispone di un voto. Le decisioni, escluse quelle in materia di procedura, sono prese con un voto favorevole di 9 membri, nel quale siano compresi i voti di tutti e 5 i membri permanenti. Ne consegue che un membro permanente può paraliz-zare il funzionamento del consiglio di sicurezza decidendo di non votare, oppure facendo valere il proprio diritto di veto sulla materia in esame.

L'astensione non è considerata pari al veto. Dal 1945 i membri permanenti hanno fatto uso del diritto di veto per 279 volte.

La principale competenza del consiglio di sicurezza è l'azione in difesa della pace e della sicurezza internazionale. A tal fine quando si trova di fronte a una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace, invita espressamente le parti in causa a perseguire una soluzione mediante negoziati, inchieste, mediazioni, conciliazioni e altri mezzi pacifici conformemente allo statuto. Inoltre, allorché abbia accertato l'esistenza di una minaccia alla pace o di un atto di aggressione, stabilisce quali misure debbano essere adottate da tutti i membri dell'ONU nei confronti dello Stato membro responsabile per ristabilire l'ordine turbato (interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche; rottura delle relazioni diplomatiche). Se però ritiene che questi provvedimenti siano inadeguati, può intraprendere con forze aeree, navali e terrestri (che sono tenuti a prestare gli Stati membri) azioni militari .

Uno stato membro delle Nazioni Unite ma non del Consiglio di sicurezza può prendere parte alle sedute del Consiglio se esso ritiene che le deci-sioni prese possano coinvolgere gli interessi del paese. Negli anni recenti questa norma è stata interpretata in senso molto ampio consentendo a molti paesi di partecipare alle sedute e alle discussioni.

Il Presidente del Consiglio di sicurezza cambia con una turnazione mensile tra i membri seguendo l'ordine alfabetico dei paesi. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite ha un seggio presso il Consiglio di sicurezza ma non ha diritto di voto.

FONTI E APPROFONDIMENTI

La Storia d’Italia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 22 “Dal centrismo all’esperienza del centro-sinistra”, La Repubblica, Roma, 2004

Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari, Laterza, 2005

A.A.V.V., Enciclopedia della storia universale, Novara, De Agostini, 2000

Per la parte di Attualità: http://it.wikipedia.org/wiki/Consiglio_di_sicurezza_delle_Nazioni_Unite

A.A.V.V., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano 2002; 1971 e aggiornamenti su CDRom


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