giovedì, aprile 06, 2006
LA FASE DEL CENTRISMO IN ITALIA
EDITORIALE
Finita una rapida panoramica degli eventi internazionali che vanno fino alla metà degli anni ’60, è tempo di tornare in Italia. Dopo avere affrontato i primi anni del dopoguerra italiano, l’emergenza economica e le scelte di politica internazionale, veniamo ora ad una serie di articoli che presenteranno la dialettica politica nazionale, con il suo variegato panorama e le diverse alleanze che ci condurranno fino ai primi governi di centro-sinistra nei primi anni ’60.
I FATTI
Dopo le elezioni per la Costituente e il referendum monarchia o repubblica (svoltisi contemporaneamente il 2 giugno 1946) democristiani, socialisti e comunisti si accordarono sull’elezione del primo e provvisorio presidente della repubblica il giurista liberale Enrico De Nicola e diedero vita ad un secondo governo De Gasperi.
Nel dicembre 1946 nasce il Movimento Sociale Italiano (Msi) guidato da G. Almirante. Il partito raccoglie i fascisti dispersi dopo la liberazione e si richiama al fascismo sociale della Repubblica di Salò.
Nel gennaio del 1947 il partito socialista (Psiup) in occasione del suo XXV congresso vede la scissione da parte del gruppo di Giuseppe Saragat, che, su posizioni anti sovietiche diametralmente opposte a quelle di Nenni, fonda il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (Psli) che, qualche anno più tardi, avrebbe assunto il nome di Partito Socialdemocratico Italiano (Psdi). La restante parte del Psiup capeggiata da Nenni riassume il vecchio nome di Partito Socialista Italiano (Psi).
Il ritiro dei rappresentanti del Psli dal governo provoca una crisi che porta De Gasperi, il 2 febbraio 1947, a formare il suo terzo ministero con socialisti e comunisti. Di ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, De Gasperi presenta le dimissioni del suo terzo governo e il 24 maggio 1947 forma il suo quarto ministero costituito da democristiani e alcune eminenti personalità (Sforza, Merzagora, Einaudi). Con l’esclusione di comunisti e socialisti si spezza l’unità delle forze antifasciste. La politica economica del governo, tracciata da Einaudi, ministro del bilancio, segue un orientamento liberista e affida i compiti della ricostruzione all’iniziativa privata.
Il 18 aprile 1948 si tengono le prime elezioni del nuovo Parlamento Italiano, dopo l’entrata in vigore della Costituzione. I democristiani ottengono la maggioranza assoluta (306 deputati su 574). De Gasperi forma con liberali, socialisti democratici e repubblicani il suo quinto governo (quadripartito).
Sempre nel 1948 i sindacalisti cattolici provocano una scissione nella CGIL (nata il 3 giugno 1944 con il “patto di Roma” tra il comunista Di Vittorio, il cattolico Grandi e il socialista Canevari) e fondano un sindacato indipendente con il nome di Libera CGIL.
Nel 1949 i sindacalisti di ispirazione repubblicana e socialdemocratica provocano una nuova scissione nella CGIL e danno vita alla federazione italiana del lavoro (FIL). Nel 1950 il sindacato Libera CGIL si fonde con una parte della FIL, dando vita alla confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL). La frazione restante della FIL assume il nome di Unione Italiana del Lavoro (UIL).
Nel luglio del 1949 il Santo Uffizio scomunica tutti i cattolici che accettano o sostengono la dottrina comunista.
IL CONTESTO
Il ritorno alla dialettica democratica dopo la parentesi del fascismo si era accompagnato a un’impetuosa crescita della partecipazione politica rispetto al periodo prebellico. Gli iscritti ai partiti più forti si misuravano ormai in centinaia di migliaia. Era dunque convinzione comune che il dopoguerra avrebbe visto in primo piano i partiti organizzati su basi di massa, soprattutto quelli della sinistra operaia, anche tramite le organizzazioni sindacali.
In particolare il partito socialista pareva destinato ad assumere un ruolo di protagonista grazie anche alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Il gruppo dirigente, però, appariva diviso fra le spinte rivoluzionarie e il richiamo alla tradizione riformista.
Il partito comunista traeva forza e credibilità dal contributo offerto alla lotta antifascista. Era diventato un autentico partito di massa, ben diverso dal piccolo e intransigente partito leninista fondato a Livorno nel 1921, che tendeva ad allargare la sua base di consenso oltre la tradizionale base operaia verso i contadini, i ceti medi e soprattutto gli intellettuali.
L’unico altro partito capace di competere sull’organizzazione di massa con comunisti e socialisti era la Democrazia Cristiana, che si richiamava direttamente all’esperienza del partito Popolare di Sturzo di cui ne ricalcava il programma, ispirato alla dottrina sociale cattolica e dunque avverso alla lotta di classe, rispettoso del diritto di proprietà, ma aperto alle istanze di riforma.
Il Partito Liberale, che raccoglieva fra le sue file gran parte della classe dirigente prefascista, poteva contare su una serie di adesioni illustri (Einaudi e Croce), oltre che sul sostegno dell’industria e dei proprietari terrieri. Ma il rapporto tra i leader e la base elettorale – di tipo personale e clientelare – era ormai definitivamente compromesso.
Fra i partiti laici, il partito repubblicano si distingueva per l’intransigenza sulla questione istituzionale e aveva infatti respinto ogni compromesso con la monarchia, rifiutando persino di partecipare al CLN.
In una posizione particolare si collocava il Partito d’Azione (PDA). Forte del prestigio che gli veniva dall’adesione di molti leader dell’antifascismo (Parri, Lussu, Valiani) il PDA si presentava come una forza nuova e moderna e si faceva promotore di ampie riforme sociali e istituzionali. Il partito era però privo di una base di massa e faticava a trovare una sua identità, diviso com’era fra un’ala socialista e un’ala liberal democratica, un contrasto che lo avrebbe portato di lì a poco ad una scissione (febbraio 1946) e al successivo scioglimento.
Quanto alla destra, essa appariva politicamente fuori gioco nel clima dopo-liberazione, ma era ancora forte, soprattutto nel mezzogiorno e tendeva a diventarlo sempre più con l’accentuarsi delle insofferenze nei confronti del nuovo assetto politico. I gruppi di destra andarono in parte ad ingrossare le file della DC e del PLI, in parte si raccolsero sotto le bandiere monarchiche e in parte contribuirono all’affermazione, clamorosa ma effimera, del movimento dell’Uomo Qualunque (fondato nel novembre del 1945 dal commediografo Guglielmo Giannini), che però già nel 1947 si era praticamente dissolto, soprattutto per la confluenza dell’opinione pubblica moderata attorno alla DC.
Per quanto riguarda gli orientamenti dei gruppi sociali, una prima riflessione va fatta sul mondo contadino che era entrata in contatto durante la Resistenza con le brigate partigiane. Il risentimento verso l’invasore tedesco per i danni alle coltivazioni, le ruberie e i soprusi avevano creato questa sorta di alleanza che si sviluppò ulteriormente quando i partiti della sinistra, e in particolare il PCI, si erano fatti carico dei problemi delle diverse categorie contadine; sono infatti gli antifascisti a dirigere e organizzare le grandi lotte dell’estate 1944 per impedire la mietitura e la trebbiatura e sono gli stessi CLN a intervenire nelle zone a più forte presenza partigiana nelle vertenze mezzadrili e bracciantili per imporre nuovi contratti di lavoro.
Di contro la proprietà agraria aveva perso i suoi punti di riferimento politico anche per la sua perdita di potere economico che si era spostato verso le grandi industrie del nord. Il nuovo accordo nel blocco dominante tra industriali del nord e alti burocrati dello Stato relega gli antichi partner agrari in posizione marginale. A tagliare la strada alle forze della reazione agraria, nelle diverse fasi del suo progetto restauratore-autoritario, sta la DC, che si sente minacciata nella sua strategia politica da un’affermazione della destra di tale portata da diventare condizionante nel governo del Paese. L’alleanza della DC con le sinistre fino al 1947 è, da questo punto di vista, funzionale al contenimento della pressione dello schieramento ultraconservatore. Solo dopo la grande vittoria del 1948 la DC si sentirà abbastanza sicura da gestire in proprio questa partita, essendosi preventivamente assicurata l’adesione di vaste fasce moderate e le simpatie di non pochi settori della stessa destra, illusi che la battaglia anticomunista ingaggiata dai cattolici prefiguri l’inserimento della DC nel blocco reazionario.
ATTUALITÀ
Le scadenze elettorali del 2006
Da aprile a giugno gli elettori, sia i singoli cittadini che i rappresentanti del Parlamento appena eletti, si troveranno ad affrontare una serie di scadenze elettorali.
ELEZIONI POLITICHE
Domenica 9 aprile, dalle ore 8 alle ore 22, e lunedi’ 10 aprile, dalle ore 7 alle ore 15, si svolgeranno le operazioni di voto per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati (XV legislatura).
Le operazioni di scrutinio avranno inizio lunedi’ 10 aprile cominciando dallo spoglio delle schede per l’elezione del Senato.
La nuova legge elettorale
La nuova legge elettorale (approvata il 21 dicembre 2005) ha introdotto un sistema proporzionale con premio di maggioranza e soglie di sbarramento.
Per l’elezione della Camera possono votare i maggiorenni aventi diritto al voto, mentre per l’elezione del Senato possono votare coloro che, alla data del 9 aprile, hanno compiuto il venticinquesimo anno di età.
Sia per l’elezione della Camera (scheda rosa) sia per l’elezione del Senato (scheda gialla), l’elettore esprime il voto tracciando con la matita un solo segno (esempio, una croce o una barra) nel riquadro che contiene il contrassegno della lista prescelta.
E’ vietato scrivere sulla scheda il nominativo dei candidati e qualsiasi altra indicazione.
Con la nuova legge elettorale non si possono dare voti di preferenza. Le liste sono «bloccate» quindi sono automaticamente eletti i candidati che si trovano nelle prime posizioni della lista tanti quanti sono i seggi assegnati a quella lista. Ossia, se a una lista vengono assegnati dieci seggi, sono eletti i primi dieci candidati che compaiono in quella lista. Il voto di preferenza a un candidato rischia di portare all’annullamento della scheda.
Il 9 e 10 aprile si torna a votare per la prima volta dal 1992 con il sistema proporzionale, ma con alcune differenze. Rispetto al sistema maggioritario (con il quale si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001), in cui in ogni singolo collegio il candidato che otteneva più voti (anche un solo voto in più degli avversari) vinceva il collegio e quindi il seggio, con il sistema proporzionale ogni partito ottiene tanti deputati o senatori a seconda della percentuale ricevuta alle urne.
CAMERA DEI DEPUTATI
La nuova legge elettorale, per assicurare la governabilità e una maggioranza sicura in Parlamento, assegna un premio di maggioranza. Alla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti vengono assegnati 340 seggi alla Camera dei deputati, anche se in realtà dalle urne ne risulterebbero di meno. Se invece già dalle urne ottiene un numero di seggi superiore a 340 (per esempio 352), alla coalizione vincente vengono assegnati quelli effettivamente ottenuti.
La nuova legge elettorale ha introdotto tre sbarramenti. Per partecipare all’assegna-zione dei seggi, ogni coalizione deve ottenere almeno il 10% dei voti validi su scala nazionale e deve includere almeno un partito che ha ottenuto almeno il 2% su scala nazionale oppure una lista di minoranze linguistiche che ha ottenuto almeno il 20% nelle regioni a statuto speciale in cui tali minoranze sono tutelate. Se un partito si presenta da solo senza far parte di una coalizione, per partecipare all’assegnazione dei seggi deve ottenere almeno il 4% su scala nazionale.
La Camera dei deputati è composta da 630 deputati eletti dal popolo. Di questi, dodici sono eletti nella circoscrizione estero, gli altri 618 in Italia.
SENATO DELLA REPUBBLICA
Escluse Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Molise, in ognuna delle restanti 17 regioni alla coalizione che ha ottenuto più voti viene assegnato il 55% dei senatori spettanti a quella regione (arrotondato al numero superiore). Se dalle urne la coalizione vincente ottiene più del 55%, le vengono assegnati i senatori corrispettivi alla percentuale ottenuta.
Per partecipare all’assegnazione dei seggi in ogni singola regione, le coalizioni devono ottenere almeno il 20% dei voti validi in quella regione e devono contenere almeno un partito che abbia ottenuto almeno il 3% dei voti sempre nella regione in esame. Se un partito si presenta da solo in una regione senza far parte di una coalizione, per partecipare all’assegnazione dei seggi di quella regione deve ottenere almeno l’8% nella regione in esame.
Il Senato della Repubblica è composto da 315 senatori eletti dal popolo. Di questi, sei sono eletti nella circoscrizione estero, gli altri 309 in Italia. Ai senatori eletti vanno aggiunti i senatori a vita: in questo momento sono sette, diventeranno otto quando in maggio Carlo Azeglio Ciampi non sarà più presidente della Repubblica (a meno che non venga rieletto). Quindi dalla fine di maggio i senatori saranno 323.
Possono essere eletti al Senato tutti i cittadini italiani in possesso dei diritti civili che hanno compiuto 40 anni di età entro il giorno delle elezioni.
ELEZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il Parlamento della XV legislatura si riunirà per la prima volta venerdì 28 aprile e ogni Camera dovrà eleggere il proprio presidente.
Nei primi giorni di maggio inizieranno le procedure per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il cui mandato durerà sette anni.
ELEZIONI AMMINISTRATIVE (SINDACI)
Nei primi giorni di marzo sono state fissate le date per le elezioni amministrative.
(Le elezioni regionali, che si svolgono ogni cinque anni, si sono tenute nel 2005).
Questa scadenza viene a coincidere con le elezioni politiche perché con il Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 è stato deciso di prolungare a cinque anni (prima erano quattro) la durata del mandato dei sindaci.
Le elezioni amministrative si terranno il 28 e il 29 maggio 2006 per il rinnovo di 8 amministrazioni provinciali e di 1.267 amministrazioni comunali (tra cui Milano, Roma, Napoli e Torino).
Si voterà inoltre per le province di Mantova, Pavia, Treviso, Imperia, Ravenna, Lucca, Campobasso e Reggio Calabria.
In Friuli Venezia Giulia si voterà anche per il rinnovo degli organi di tre amministrazioni provinciali (Gorizia, Trieste e Udine).
In Sicilia per il rinnovo del consiglio regionale e per l´amministrazione di 13 comuni.
Per il secondo turno (cioè gli eventuali ballottaggi) delle amministrative si voterà l’11 e il 12 giugno.
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Verso la fine di giugno (le decisioni della Corte di Cassazione sono attese per il 21 aprile) si voterà per abrogare o confermare la riforma costituzionale votata quest’anno a stretta maggioranza dal Parlamento.
Sarà il presidente della Repubblica a indire il referendum. Solo dopo il governo dovrà individuare «una data fra il 50mo e il 70mo giorno dalla data di indizione del referendum», quindi si voterà dopo il 10 giugno.
Il referendum sarà valido qualunque sarà il numero dei votanti in quanto per i referendum costituzionali non è previsto il quorum.
FONTI E APPROFONDIMENTI
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 22 “Dal centrismo all’esperienza del centro-sinistra”, La Repubblica, Roma, 2004
Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari, Laterza, 2005
La formazione dell’Italia democratica di Francesco Barbagallo, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. I, Torino, Einaudi , 1994.
L’Italia democratica. Profilo del primo cinquantennio di Nicola Tranfaglia, in “La storia – I grandi problemi dell’età contemporanea”, opera coordinata da N. Tranfaglia e M. Firpo, Vol. V, Garzanti, 2001, pp.79-120;
Per la parte di Attualità: http://www.interno.it/salastampa/comunicati/pages/articolo.php?idarticolo=1004 e www.corriere.it
Finita una rapida panoramica degli eventi internazionali che vanno fino alla metà degli anni ’60, è tempo di tornare in Italia. Dopo avere affrontato i primi anni del dopoguerra italiano, l’emergenza economica e le scelte di politica internazionale, veniamo ora ad una serie di articoli che presenteranno la dialettica politica nazionale, con il suo variegato panorama e le diverse alleanze che ci condurranno fino ai primi governi di centro-sinistra nei primi anni ’60.
I FATTI
Dopo le elezioni per la Costituente e il referendum monarchia o repubblica (svoltisi contemporaneamente il 2 giugno 1946) democristiani, socialisti e comunisti si accordarono sull’elezione del primo e provvisorio presidente della repubblica il giurista liberale Enrico De Nicola e diedero vita ad un secondo governo De Gasperi.
Nel dicembre 1946 nasce il Movimento Sociale Italiano (Msi) guidato da G. Almirante. Il partito raccoglie i fascisti dispersi dopo la liberazione e si richiama al fascismo sociale della Repubblica di Salò.
Nel gennaio del 1947 il partito socialista (Psiup) in occasione del suo XXV congresso vede la scissione da parte del gruppo di Giuseppe Saragat, che, su posizioni anti sovietiche diametralmente opposte a quelle di Nenni, fonda il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (Psli) che, qualche anno più tardi, avrebbe assunto il nome di Partito Socialdemocratico Italiano (Psdi). La restante parte del Psiup capeggiata da Nenni riassume il vecchio nome di Partito Socialista Italiano (Psi).
Il ritiro dei rappresentanti del Psli dal governo provoca una crisi che porta De Gasperi, il 2 febbraio 1947, a formare il suo terzo ministero con socialisti e comunisti. Di ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, De Gasperi presenta le dimissioni del suo terzo governo e il 24 maggio 1947 forma il suo quarto ministero costituito da democristiani e alcune eminenti personalità (Sforza, Merzagora, Einaudi). Con l’esclusione di comunisti e socialisti si spezza l’unità delle forze antifasciste. La politica economica del governo, tracciata da Einaudi, ministro del bilancio, segue un orientamento liberista e affida i compiti della ricostruzione all’iniziativa privata.
Il 18 aprile 1948 si tengono le prime elezioni del nuovo Parlamento Italiano, dopo l’entrata in vigore della Costituzione. I democristiani ottengono la maggioranza assoluta (306 deputati su 574). De Gasperi forma con liberali, socialisti democratici e repubblicani il suo quinto governo (quadripartito).
Sempre nel 1948 i sindacalisti cattolici provocano una scissione nella CGIL (nata il 3 giugno 1944 con il “patto di Roma” tra il comunista Di Vittorio, il cattolico Grandi e il socialista Canevari) e fondano un sindacato indipendente con il nome di Libera CGIL.
Nel 1949 i sindacalisti di ispirazione repubblicana e socialdemocratica provocano una nuova scissione nella CGIL e danno vita alla federazione italiana del lavoro (FIL). Nel 1950 il sindacato Libera CGIL si fonde con una parte della FIL, dando vita alla confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL). La frazione restante della FIL assume il nome di Unione Italiana del Lavoro (UIL).
Nel luglio del 1949 il Santo Uffizio scomunica tutti i cattolici che accettano o sostengono la dottrina comunista.
IL CONTESTO
Il ritorno alla dialettica democratica dopo la parentesi del fascismo si era accompagnato a un’impetuosa crescita della partecipazione politica rispetto al periodo prebellico. Gli iscritti ai partiti più forti si misuravano ormai in centinaia di migliaia. Era dunque convinzione comune che il dopoguerra avrebbe visto in primo piano i partiti organizzati su basi di massa, soprattutto quelli della sinistra operaia, anche tramite le organizzazioni sindacali.
In particolare il partito socialista pareva destinato ad assumere un ruolo di protagonista grazie anche alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Il gruppo dirigente, però, appariva diviso fra le spinte rivoluzionarie e il richiamo alla tradizione riformista.
Il partito comunista traeva forza e credibilità dal contributo offerto alla lotta antifascista. Era diventato un autentico partito di massa, ben diverso dal piccolo e intransigente partito leninista fondato a Livorno nel 1921, che tendeva ad allargare la sua base di consenso oltre la tradizionale base operaia verso i contadini, i ceti medi e soprattutto gli intellettuali.
L’unico altro partito capace di competere sull’organizzazione di massa con comunisti e socialisti era la Democrazia Cristiana, che si richiamava direttamente all’esperienza del partito Popolare di Sturzo di cui ne ricalcava il programma, ispirato alla dottrina sociale cattolica e dunque avverso alla lotta di classe, rispettoso del diritto di proprietà, ma aperto alle istanze di riforma.
Il Partito Liberale, che raccoglieva fra le sue file gran parte della classe dirigente prefascista, poteva contare su una serie di adesioni illustri (Einaudi e Croce), oltre che sul sostegno dell’industria e dei proprietari terrieri. Ma il rapporto tra i leader e la base elettorale – di tipo personale e clientelare – era ormai definitivamente compromesso.
Fra i partiti laici, il partito repubblicano si distingueva per l’intransigenza sulla questione istituzionale e aveva infatti respinto ogni compromesso con la monarchia, rifiutando persino di partecipare al CLN.
In una posizione particolare si collocava il Partito d’Azione (PDA). Forte del prestigio che gli veniva dall’adesione di molti leader dell’antifascismo (Parri, Lussu, Valiani) il PDA si presentava come una forza nuova e moderna e si faceva promotore di ampie riforme sociali e istituzionali. Il partito era però privo di una base di massa e faticava a trovare una sua identità, diviso com’era fra un’ala socialista e un’ala liberal democratica, un contrasto che lo avrebbe portato di lì a poco ad una scissione (febbraio 1946) e al successivo scioglimento.
Quanto alla destra, essa appariva politicamente fuori gioco nel clima dopo-liberazione, ma era ancora forte, soprattutto nel mezzogiorno e tendeva a diventarlo sempre più con l’accentuarsi delle insofferenze nei confronti del nuovo assetto politico. I gruppi di destra andarono in parte ad ingrossare le file della DC e del PLI, in parte si raccolsero sotto le bandiere monarchiche e in parte contribuirono all’affermazione, clamorosa ma effimera, del movimento dell’Uomo Qualunque (fondato nel novembre del 1945 dal commediografo Guglielmo Giannini), che però già nel 1947 si era praticamente dissolto, soprattutto per la confluenza dell’opinione pubblica moderata attorno alla DC.
Per quanto riguarda gli orientamenti dei gruppi sociali, una prima riflessione va fatta sul mondo contadino che era entrata in contatto durante la Resistenza con le brigate partigiane. Il risentimento verso l’invasore tedesco per i danni alle coltivazioni, le ruberie e i soprusi avevano creato questa sorta di alleanza che si sviluppò ulteriormente quando i partiti della sinistra, e in particolare il PCI, si erano fatti carico dei problemi delle diverse categorie contadine; sono infatti gli antifascisti a dirigere e organizzare le grandi lotte dell’estate 1944 per impedire la mietitura e la trebbiatura e sono gli stessi CLN a intervenire nelle zone a più forte presenza partigiana nelle vertenze mezzadrili e bracciantili per imporre nuovi contratti di lavoro.
Di contro la proprietà agraria aveva perso i suoi punti di riferimento politico anche per la sua perdita di potere economico che si era spostato verso le grandi industrie del nord. Il nuovo accordo nel blocco dominante tra industriali del nord e alti burocrati dello Stato relega gli antichi partner agrari in posizione marginale. A tagliare la strada alle forze della reazione agraria, nelle diverse fasi del suo progetto restauratore-autoritario, sta la DC, che si sente minacciata nella sua strategia politica da un’affermazione della destra di tale portata da diventare condizionante nel governo del Paese. L’alleanza della DC con le sinistre fino al 1947 è, da questo punto di vista, funzionale al contenimento della pressione dello schieramento ultraconservatore. Solo dopo la grande vittoria del 1948 la DC si sentirà abbastanza sicura da gestire in proprio questa partita, essendosi preventivamente assicurata l’adesione di vaste fasce moderate e le simpatie di non pochi settori della stessa destra, illusi che la battaglia anticomunista ingaggiata dai cattolici prefiguri l’inserimento della DC nel blocco reazionario.
ATTUALITÀ
Le scadenze elettorali del 2006
Da aprile a giugno gli elettori, sia i singoli cittadini che i rappresentanti del Parlamento appena eletti, si troveranno ad affrontare una serie di scadenze elettorali.
ELEZIONI POLITICHE
Domenica 9 aprile, dalle ore 8 alle ore 22, e lunedi’ 10 aprile, dalle ore 7 alle ore 15, si svolgeranno le operazioni di voto per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati (XV legislatura).
Le operazioni di scrutinio avranno inizio lunedi’ 10 aprile cominciando dallo spoglio delle schede per l’elezione del Senato.
La nuova legge elettorale
La nuova legge elettorale (approvata il 21 dicembre 2005) ha introdotto un sistema proporzionale con premio di maggioranza e soglie di sbarramento.
Per l’elezione della Camera possono votare i maggiorenni aventi diritto al voto, mentre per l’elezione del Senato possono votare coloro che, alla data del 9 aprile, hanno compiuto il venticinquesimo anno di età.
Sia per l’elezione della Camera (scheda rosa) sia per l’elezione del Senato (scheda gialla), l’elettore esprime il voto tracciando con la matita un solo segno (esempio, una croce o una barra) nel riquadro che contiene il contrassegno della lista prescelta.
E’ vietato scrivere sulla scheda il nominativo dei candidati e qualsiasi altra indicazione.
Con la nuova legge elettorale non si possono dare voti di preferenza. Le liste sono «bloccate» quindi sono automaticamente eletti i candidati che si trovano nelle prime posizioni della lista tanti quanti sono i seggi assegnati a quella lista. Ossia, se a una lista vengono assegnati dieci seggi, sono eletti i primi dieci candidati che compaiono in quella lista. Il voto di preferenza a un candidato rischia di portare all’annullamento della scheda.
Il 9 e 10 aprile si torna a votare per la prima volta dal 1992 con il sistema proporzionale, ma con alcune differenze. Rispetto al sistema maggioritario (con il quale si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001), in cui in ogni singolo collegio il candidato che otteneva più voti (anche un solo voto in più degli avversari) vinceva il collegio e quindi il seggio, con il sistema proporzionale ogni partito ottiene tanti deputati o senatori a seconda della percentuale ricevuta alle urne.
CAMERA DEI DEPUTATI
La nuova legge elettorale, per assicurare la governabilità e una maggioranza sicura in Parlamento, assegna un premio di maggioranza. Alla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti vengono assegnati 340 seggi alla Camera dei deputati, anche se in realtà dalle urne ne risulterebbero di meno. Se invece già dalle urne ottiene un numero di seggi superiore a 340 (per esempio 352), alla coalizione vincente vengono assegnati quelli effettivamente ottenuti.
La nuova legge elettorale ha introdotto tre sbarramenti. Per partecipare all’assegna-zione dei seggi, ogni coalizione deve ottenere almeno il 10% dei voti validi su scala nazionale e deve includere almeno un partito che ha ottenuto almeno il 2% su scala nazionale oppure una lista di minoranze linguistiche che ha ottenuto almeno il 20% nelle regioni a statuto speciale in cui tali minoranze sono tutelate. Se un partito si presenta da solo senza far parte di una coalizione, per partecipare all’assegnazione dei seggi deve ottenere almeno il 4% su scala nazionale.
La Camera dei deputati è composta da 630 deputati eletti dal popolo. Di questi, dodici sono eletti nella circoscrizione estero, gli altri 618 in Italia.
SENATO DELLA REPUBBLICA
Escluse Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Molise, in ognuna delle restanti 17 regioni alla coalizione che ha ottenuto più voti viene assegnato il 55% dei senatori spettanti a quella regione (arrotondato al numero superiore). Se dalle urne la coalizione vincente ottiene più del 55%, le vengono assegnati i senatori corrispettivi alla percentuale ottenuta.
Per partecipare all’assegnazione dei seggi in ogni singola regione, le coalizioni devono ottenere almeno il 20% dei voti validi in quella regione e devono contenere almeno un partito che abbia ottenuto almeno il 3% dei voti sempre nella regione in esame. Se un partito si presenta da solo in una regione senza far parte di una coalizione, per partecipare all’assegnazione dei seggi di quella regione deve ottenere almeno l’8% nella regione in esame.
Il Senato della Repubblica è composto da 315 senatori eletti dal popolo. Di questi, sei sono eletti nella circoscrizione estero, gli altri 309 in Italia. Ai senatori eletti vanno aggiunti i senatori a vita: in questo momento sono sette, diventeranno otto quando in maggio Carlo Azeglio Ciampi non sarà più presidente della Repubblica (a meno che non venga rieletto). Quindi dalla fine di maggio i senatori saranno 323.
Possono essere eletti al Senato tutti i cittadini italiani in possesso dei diritti civili che hanno compiuto 40 anni di età entro il giorno delle elezioni.
ELEZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il Parlamento della XV legislatura si riunirà per la prima volta venerdì 28 aprile e ogni Camera dovrà eleggere il proprio presidente.
Nei primi giorni di maggio inizieranno le procedure per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il cui mandato durerà sette anni.
ELEZIONI AMMINISTRATIVE (SINDACI)
Nei primi giorni di marzo sono state fissate le date per le elezioni amministrative.
(Le elezioni regionali, che si svolgono ogni cinque anni, si sono tenute nel 2005).
Questa scadenza viene a coincidere con le elezioni politiche perché con il Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 è stato deciso di prolungare a cinque anni (prima erano quattro) la durata del mandato dei sindaci.
Le elezioni amministrative si terranno il 28 e il 29 maggio 2006 per il rinnovo di 8 amministrazioni provinciali e di 1.267 amministrazioni comunali (tra cui Milano, Roma, Napoli e Torino).
Si voterà inoltre per le province di Mantova, Pavia, Treviso, Imperia, Ravenna, Lucca, Campobasso e Reggio Calabria.
In Friuli Venezia Giulia si voterà anche per il rinnovo degli organi di tre amministrazioni provinciali (Gorizia, Trieste e Udine).
In Sicilia per il rinnovo del consiglio regionale e per l´amministrazione di 13 comuni.
Per il secondo turno (cioè gli eventuali ballottaggi) delle amministrative si voterà l’11 e il 12 giugno.
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Verso la fine di giugno (le decisioni della Corte di Cassazione sono attese per il 21 aprile) si voterà per abrogare o confermare la riforma costituzionale votata quest’anno a stretta maggioranza dal Parlamento.
Sarà il presidente della Repubblica a indire il referendum. Solo dopo il governo dovrà individuare «una data fra il 50mo e il 70mo giorno dalla data di indizione del referendum», quindi si voterà dopo il 10 giugno.
Il referendum sarà valido qualunque sarà il numero dei votanti in quanto per i referendum costituzionali non è previsto il quorum.
FONTI E APPROFONDIMENTI
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 22 “Dal centrismo all’esperienza del centro-sinistra”, La Repubblica, Roma, 2004
Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari, Laterza, 2005
La formazione dell’Italia democratica di Francesco Barbagallo, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. I, Torino, Einaudi , 1994.
L’Italia democratica. Profilo del primo cinquantennio di Nicola Tranfaglia, in “La storia – I grandi problemi dell’età contemporanea”, opera coordinata da N. Tranfaglia e M. Firpo, Vol. V, Garzanti, 2001, pp.79-120;
Per la parte di Attualità: http://www.interno.it/salastampa/comunicati/pages/articolo.php?idarticolo=1004 e www.corriere.it