giovedì, aprile 06, 2006
LA GERMANIA EST E IL MURO DI BERLINO
EDITORIALE
Nell’analizzare la situazione dell’Europa nel secondo dopoguerra non si può fare a meno di parlare di Berlino, centro simbolico della guerra fredda, e della situazione in Germania orientale dopo la morte di Stalin. Buona lettura.
I FATTI
Novembre 1958: richiesta di Chruscev alle potenze occidentali di smilitarizzare Berlino Ovest entro sei mesi (e di costituirla con lo status di città libera, indipendente dalle due Germanie), altrimenti l’URSS avrebbe stipulato una pace separata con la Repubblica Democratica Tedesca (RDT, la Germania dell’Est).
Agosto 1961: Walter Ulbricht, leader della RDT, ottiene al V congresso dei partiti comunisti in svolgimento a Mosca il permesso di chiudere il confine fra le due Germanie, per le sempre più numerose fughe verso l’Ovest da parte dei cittadini della RDT.
7 agosto 1961: Chruscev annuncia la chiusura del confine fra le Germanie.
13 agosto 1961: il confine viene chiuso con 40 km. di filo spinato. 25.000 uomini della polizia del popolo (i cosiddetti Vopos) vengono posti lungo la linea di confine.
Dal 23 agosto i berlinesi sono obbligati a richiedere un permesso per passare da una parte all’altra della città.
15 agosto 1961: i militari dell’Est rinforzano la barriera con blocchi di cemento e in pochi giorni vengono chiusi i palazzi della linea di confine.
Il muro non è una semplice parete che divide la città, ma un sistema di ostacoli e dispositivi studiati per renderne impossibile l’attraversamento senza autorizzazione.
IL CONTESTO
Dal 1953 al 1955, dopo la morte di Stalin (1953), il governo sovietico, mentre promuoveva un nuovo corso al proprio interno, si era impegnato anche a promuovere dei mutamenti nell’Europa orientale. La situazione più delicata era quella della Germania dell’Est. Il confronto troppo diretto con la Germania occidentale e i legami assai stretti che Mosca imponeva ai comunisti tedeschi componevano un insieme di arretratezza e mancata libertà di movimento che i tedeschi orientali fecero rilevare.
Il 16 e 17 giugno 1953 esplosero a Berlino Est e in altre città della Germania orientale violente manifestazioni contro il governo di Walter Ulbricht e contro i sovietici. Per reprimerle fu necessario l’intervento dei carri armati sovietici, che causarono centinaia di vittime. Oltre al problema dell’eco creato nel blocco dei paesi dell’est dal processo di destalinizzazione, in Germania il governo spingeva a ottenere una ferma risposta sovietica alla politica di Adenauer nella Germania Ovest (specie dopo l’approvazione nel 1954 dell’Unione Europea Occidentale, UEO e l’adesione della Germania Ovest alla NATO del 1955) e ai rapporti intertedeschi, resi più acuti dal persistere del flusso di emigrazioni clandestine dalla Germania orientale verso quella occidentale. Fra il 1949 e il 1958 circa 2.200.000 tedeschi orientali cercarono rifugio in Occidente, in gran parte passando attraverso Berlino. Negli anni successivi e fino al 1961 il flusso rimase costante e portò la cifra totale poco sotto i tre milioni di emigrati.
La crisi di Berlino del 1958-61 spesso viene considerata come un segno del perdurare della guerra fredda in Europa; le sue origini però rientrano nell’esigenza sovietica di trovare una linea d’azione politica che bilanciasse le spinte verso l’intransigenza provenienti dai settori più esposti al contrasto con gli Occidentali, con l’esigenza di non compromettere il cammino compiuto verso la distensione. Il 27 novembre 1958 il governo sovietico inviò alle potenze occidentali una lunghissima nota nella quale preannunciava la propria intenzione di sottoscrivere un trattato di pace separata con la RDT (alla fine della 2a guerra mondiale non era stato stipulato alcun trattato di pace con la Germania). I diritti occidentali su Berlino Ovest non sarebbero stati intaccati per sei mesi ma il 27 maggio 1959 il governo sovietico avrebbe consegnato la parte orientale della città al governo Ulbricht, nel frattempo diventato capo di un governo divenuto sovrano e indipendente.
Sarebbe stato poi compito della RDT rinegoziare con le potenze occidentali i loro diritti, inclusi quelli sulle vie di comunicazione verso Berlino. Gli Occidentali avrebbero così dovuto riconoscere la RDT, indebolendo di fatto Adenauer e il governo della Germania occidentale, che non aveva relazioni diplomatiche con i Paesi che avevano riconosciuto le Repubblica Democratica Tedesca.
L’iniziativa sovietica, più che lo scontro diretto, voleva mostrare la determinazione di Mosca ad appoggiare la RDT anche al prezzo di un allontanamento sine die della prospettiva di riunificazione, mirava a rassicurare Ulbricht sull’efficacia dell’appoggio sovietico e a dissuadere Adenauer dal voler dotare la Repubblica Federale Tedesca di un armamento nucleare atomico.
Il presidente americano Eisenhower si rendeva conto dei reali motivi della richiesta sovietica. Pochi mesi dopo, nel pieno delle discussioni per l’installazione dei missili a gittata intermedia nei paesi alleati, ammetteva il disagio sovietico immaginando che se il Messico o Cuba fossero divenuti comunisti (Castro sale al potere nel gennaio del 1959) e avessero installato sul proprio territorio missili sovietici, gli Stati Uniti avrebbero dovuto reagire. L’atteggiamento americano fu perciò quello di considerare illegittime le richieste sovietiche, ma, contemporaneamente, di dare risposte distensive, come la continuazione dei negoziati per il bando degli esperimenti nucleari e la proposta di tenere un vertice dei ministri degli Esteri a Ginevra (di fatto a Ginevra, nel 1959, l’ultimatum sovietico venne lasciato cadere, così come poi accadde alla proposta di nuclearizzare la Germania Ovest). Il problema restava aperto, ma senza l’urgenza generata dal tono della dichiarazione sovietica.
Dopo una pausa di un anno, durante la quale gli esuli in fuga dalla RDT aumentarono, Chruscev, il 6 gennaio 1961, approfittando del passaggio di poteri fra Eisenhower e il neo eletto Kennedy, riprese la sua campagna per il trattato di pace con la RDT.
In febbraio Kennedy propose un vertice a due per arrivare a un chiarimento; l’incontro, che si tenne in giugno a Vienna, si risolse in una reciproca incomprensione. Kennedy propose la discussione concreta dei problemi sul tappeto; Chruscev ribadì, con la sua tecnica irruente, le sue richieste su Berlino. Kennedy seguì una linea di moderazione e misura; Chruscev interpretò questo atteggiamento come timidezza o incertezza. Kennedy, lungi dall’essere il giovane inesperto che Chruscev pensava di trovarsi davanti, stava rapidamente imparando il mestiere di presidente, vide che Chruscev voleva ancora sviluppare una tattica aggressiva e si preparò a rispondere con energia. Il 25 luglio 1961 Kennedy espose in un discorso le proprie determinazioni; annunciò il rafforzamento degli armamenti convenzionali e fece capire che, oltre ad avere già accresciuto il potenziale nucleare americano, gli USA avevano abbandonato l’atteggiamento pacato di Eisenhower e non avrebbero più accettato di lasciarsi considerare come una potenza in declino. Gli USA non avrebbero mai lanciato per primi un’offensiva nucleare, ma i sovietici dovevano sapere che la superiorità nucleare americana era tale da porli al riparo da minacce sovietiche.
Il 3 agosto 1961,in una riunione del Patto di Varsavia, la decisione di costruire a Berlino un muro che rendesse impossibile lo stillicidio delle emigrazioni apparve non come un rimedio provocatorio ma come un compromesso fra l’intransigenza di Ulbricht e la cautela di Chruscev. In un discorso del 7 agosto 1961 Chruscev abbassò il tono della polemica e escluse che vi fosse da parte sovietica qualsiasi intenzione di violare i legittimi interessi occidentali a Berlino Ovest e lungo le vie di accesso alla città.
Il 13 agosto le autorità di Berlino Est incominciarono a costruire una serie di barriere che rapidamente divennero un’alta muraglia che da allora separò fisicamente le due parti della città. Le misure di sorveglianza poste in essere per impedire ogni infrazione al divieto di transito confermavano la determinazione del governo Ulbricht di porre termine una volta per tutte allo stillicidio dei rifugiati.
Il muro divenne un simbolo di infamia e di debolezza. Esso era l’ammissione del fatto che la situazione di Berlino non poteva essere modificata. Le regole della coesistenza competitiva assumevano il concetto che la Germania non doveva essere modificata dal punto di vista territoriale. La difesa dell’Europa centrale era affidata in modo stabile agli americani, che da allora si convinsero di dover rimanere in Europa fino a tempo indeterminato. L’alternativa, cioè la nascita di una Germania nucleare, avrebbe modificato l’equilibrio fra le due superpotenze sino a un punto troppo pericoloso perché entrambe le parti potessero accettarla.
ATTUALITÀ
LA GUERRA CIVILE AMERICANA (terza parte)
“Dal punto di vista della storia militare la Guerra civile Americana è stata la prima guerra moderna. Essa segnò il passaggio dalla guerra del passato, che impegnava principalmente le forze militari, alla guerra moderna, che in grado diverso investe ogni gruppo sociale e che in definitiva comporta l’impegno completo della vita di una nazione. […] Essa fu la prima grande esperienza militare del popolo americano e la sua maggiore esperienza storica. Il dramma, l’angoscia, il valore degli anni 1861-65 divennero parte indelebile della coscienza nazionale e così pure una profonda comprensione del significato di questa guerra. Essa è il grande evento su cui si impernia la storia degli Stati Uniti, come la rivoluzione del 1789 è il cardine della storia di Francia. Appianò alcune divergenze e le appianò in modo definitivo; pose fine alla schiavitù e gettò le basi del capitalismo industriale; inoltre rinsaldò l’Unione e diede stabilità, se non addirittura vita, alla moderna nazione americana. Sebbene gli americani non abbiano cessato di discutere alcuni problemi rimasti insoluti, il grande risultato della guerra, cioè il rafforzamento dell’Unione, è stato accettato da tutte le componenti della nazione. Dopo il 1865, non c’è più stato partito, o classe, o gruppo che abbia sia pure soltanto contemplato la possibilità o la convenienza di dividere la nazione”. [“Storia del mondo moderno”, Cambridge University Press].
Fu una guerra terribile con più di 600.000 morti, cioè più delle vittime che gli Stati Uniti ebbero sommando tutte le altre guerre, dalla rivoluzione del 1775 in poi, fino ad arrivare ed includendo la guerra del Vietnam. Del resto, i campi di battaglia che ho visitato sembrano fatti apposta per favorire la carneficina: grandi e aperte spianate dove i due eserciti si potevano confrontare frontalmente con pochi ripari. Sono stati conservati così come erano a futura memoria del sacrificio e dell’eroismo di quei soldati, che potevano morire a migliaia nello spazio di un solo giorno. Vicino al muro di pietra della Sunken Road nei pressi di Fredericksbug ne morirono 40.000. Sul fatto che questa guerra abbia lasciato un segno indelebile nel popolo americano a me, lo ripeto, visitatore superficiale e occasionale non lascia dubbio alcuno. La traccia più evidente, e se volete anche più banale, è sicuramente il Lincoln memorial , il monumento ad Abraham Lincoln che sorge a Washington, con la sua posizione in linea retta al Parlamento, che sembra sorvegliare notte e giorno il bene più prezioso conquistato a caro prezzo in quegli anni: l’unità della nazione. La schiavitù, che era stata una delle cause della guerra, era stata abolita da Lincoln il 1 gennaio 1863, ma da allora lunga e dolorosa sarebbe stata la strada verso una reale emancipazione. Alla fine della guerra Lincoln, che era fermamente deciso a trattare gli Stati sudisti non come una terra nemica conquistata, ma come fratelli traviati e ritrovati, venne assassinato. Una immensa campagna di linciaggio morale fu scatenata contro il sud, che rimase sotto occupazione militare fino al 1877. Benché l’unità della nazione fosse stata salvata la contrapposizione fra nord e sud rimase e si è trascinata fino ai giorni nostri. Dopo la Guerra Civile, Ulysses S. Grant, (che aveva comandato le armate del Nord) divenne presidente degli Stati Uniti nel 1868 e nel 1872, mentre Robert E. Lee (che aveva comandato le armate del Sud) finì con onore i suoi anni insegnando all’università. La casa di Lee, che venne requisita durante la guerra per farne un cimitero (l’odierno cimitero di Arlington), è oggi un monumento nazionale. Jefferson Davis, invece, (il presidente dei confederati) fu gettato in prigione con l’accusa, inoltre, di avere cospirato per l’assassinio di Lincoln. I militari, in definitiva, ebbero una sorte migliore di quella che toccò ai politici. In buona sostanza la Guerra Civile rinforzò quella che era una consuetudine che cominciò con Washington: chi aveva ben servito il Paese sotto le armi era il miglior candidato per guidare la nazione.Il segno indelebile di questa guerra è evidente anche guardando la produzione cinematografica americana: uno dei primi e più grandi successi di Hollywood fu il film “Gone with the wind”, ambientato durante la guerra civile. Anche la produzione più recente non ha smesso di interessarsi al periodo e “Gangs of New York” si chiude con l’emblematica scena di una guerra civile che spazza via il terreno di confronto dei due protagonisti, benché anche questo fosse fatto di sangue e scontri tra opposte fazioni: le regole del gioco, da allora, non sarebbero state più le stesse. Io credo sia necessario, che ci piaccia o no, capire fino in fondo questa guerra per capire come gli Stati Uniti sentano la “guerra” e più in generale tutte le guerre che combattono e combatteranno. Non bisogna dimenticare che l’Unione, che poi vincerà, risultò essere l’aggressore della Confederazione che aveva dichiarato la secessione (benché il fatto scatenante della guerra fu l’attacco dei confederati a Forte Sumter). Fu quindi una guerra di aggressione che portò all’unità del paese. E’ naturale allora che in un Paese come questo la parola “guerra” evochi certamente orrore e distruzione, non disgiunti però da una certa ineluttabilità che renda la guerra stessa un passaggio obbligato per raggiungere obbiettivi di ordine superiore, che possano giustificare un tale sacrificio. E’ un retaggio storico importante e ancora molto vivo con il quale dobbiamo fare i conti ogniqualvolta ci si trovi a confronto con gli Stati Uniti su questi temi purtroppo di scottante attualità.
FONTI E APPROFONDIMENTI
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 14 “Dalla guerra fredda alla dissoluzione dell’URSS”, La Repubblica, Roma, 2004
Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 11 “Risorgimento e rivoluzioni nazionali”, La Repubblica, Roma, 2004
Maldwyn A. Jones, Storia degli Stati Uniti, in Storia Universale del Corriere della Sera, vol. 25, Milano, 2005
Storia del mondo moderno Vol. X “Il culmine della potenza europea 1830-1870”, Cambridge University Press, 1964, Pubblicato in Italia da Garzanti , ristampa del 1997 - “The Civil War. A film by Ken Burns”, 1990, DVD by PBS Home Video year 2002
Nell’analizzare la situazione dell’Europa nel secondo dopoguerra non si può fare a meno di parlare di Berlino, centro simbolico della guerra fredda, e della situazione in Germania orientale dopo la morte di Stalin. Buona lettura.
I FATTI
Novembre 1958: richiesta di Chruscev alle potenze occidentali di smilitarizzare Berlino Ovest entro sei mesi (e di costituirla con lo status di città libera, indipendente dalle due Germanie), altrimenti l’URSS avrebbe stipulato una pace separata con la Repubblica Democratica Tedesca (RDT, la Germania dell’Est).
Agosto 1961: Walter Ulbricht, leader della RDT, ottiene al V congresso dei partiti comunisti in svolgimento a Mosca il permesso di chiudere il confine fra le due Germanie, per le sempre più numerose fughe verso l’Ovest da parte dei cittadini della RDT.
7 agosto 1961: Chruscev annuncia la chiusura del confine fra le Germanie.
13 agosto 1961: il confine viene chiuso con 40 km. di filo spinato. 25.000 uomini della polizia del popolo (i cosiddetti Vopos) vengono posti lungo la linea di confine.
Dal 23 agosto i berlinesi sono obbligati a richiedere un permesso per passare da una parte all’altra della città.
15 agosto 1961: i militari dell’Est rinforzano la barriera con blocchi di cemento e in pochi giorni vengono chiusi i palazzi della linea di confine.
Il muro non è una semplice parete che divide la città, ma un sistema di ostacoli e dispositivi studiati per renderne impossibile l’attraversamento senza autorizzazione.
IL CONTESTO
Dal 1953 al 1955, dopo la morte di Stalin (1953), il governo sovietico, mentre promuoveva un nuovo corso al proprio interno, si era impegnato anche a promuovere dei mutamenti nell’Europa orientale. La situazione più delicata era quella della Germania dell’Est. Il confronto troppo diretto con la Germania occidentale e i legami assai stretti che Mosca imponeva ai comunisti tedeschi componevano un insieme di arretratezza e mancata libertà di movimento che i tedeschi orientali fecero rilevare.
Il 16 e 17 giugno 1953 esplosero a Berlino Est e in altre città della Germania orientale violente manifestazioni contro il governo di Walter Ulbricht e contro i sovietici. Per reprimerle fu necessario l’intervento dei carri armati sovietici, che causarono centinaia di vittime. Oltre al problema dell’eco creato nel blocco dei paesi dell’est dal processo di destalinizzazione, in Germania il governo spingeva a ottenere una ferma risposta sovietica alla politica di Adenauer nella Germania Ovest (specie dopo l’approvazione nel 1954 dell’Unione Europea Occidentale, UEO e l’adesione della Germania Ovest alla NATO del 1955) e ai rapporti intertedeschi, resi più acuti dal persistere del flusso di emigrazioni clandestine dalla Germania orientale verso quella occidentale. Fra il 1949 e il 1958 circa 2.200.000 tedeschi orientali cercarono rifugio in Occidente, in gran parte passando attraverso Berlino. Negli anni successivi e fino al 1961 il flusso rimase costante e portò la cifra totale poco sotto i tre milioni di emigrati.
La crisi di Berlino del 1958-61 spesso viene considerata come un segno del perdurare della guerra fredda in Europa; le sue origini però rientrano nell’esigenza sovietica di trovare una linea d’azione politica che bilanciasse le spinte verso l’intransigenza provenienti dai settori più esposti al contrasto con gli Occidentali, con l’esigenza di non compromettere il cammino compiuto verso la distensione. Il 27 novembre 1958 il governo sovietico inviò alle potenze occidentali una lunghissima nota nella quale preannunciava la propria intenzione di sottoscrivere un trattato di pace separata con la RDT (alla fine della 2a guerra mondiale non era stato stipulato alcun trattato di pace con la Germania). I diritti occidentali su Berlino Ovest non sarebbero stati intaccati per sei mesi ma il 27 maggio 1959 il governo sovietico avrebbe consegnato la parte orientale della città al governo Ulbricht, nel frattempo diventato capo di un governo divenuto sovrano e indipendente.
Sarebbe stato poi compito della RDT rinegoziare con le potenze occidentali i loro diritti, inclusi quelli sulle vie di comunicazione verso Berlino. Gli Occidentali avrebbero così dovuto riconoscere la RDT, indebolendo di fatto Adenauer e il governo della Germania occidentale, che non aveva relazioni diplomatiche con i Paesi che avevano riconosciuto le Repubblica Democratica Tedesca.
L’iniziativa sovietica, più che lo scontro diretto, voleva mostrare la determinazione di Mosca ad appoggiare la RDT anche al prezzo di un allontanamento sine die della prospettiva di riunificazione, mirava a rassicurare Ulbricht sull’efficacia dell’appoggio sovietico e a dissuadere Adenauer dal voler dotare la Repubblica Federale Tedesca di un armamento nucleare atomico.
Il presidente americano Eisenhower si rendeva conto dei reali motivi della richiesta sovietica. Pochi mesi dopo, nel pieno delle discussioni per l’installazione dei missili a gittata intermedia nei paesi alleati, ammetteva il disagio sovietico immaginando che se il Messico o Cuba fossero divenuti comunisti (Castro sale al potere nel gennaio del 1959) e avessero installato sul proprio territorio missili sovietici, gli Stati Uniti avrebbero dovuto reagire. L’atteggiamento americano fu perciò quello di considerare illegittime le richieste sovietiche, ma, contemporaneamente, di dare risposte distensive, come la continuazione dei negoziati per il bando degli esperimenti nucleari e la proposta di tenere un vertice dei ministri degli Esteri a Ginevra (di fatto a Ginevra, nel 1959, l’ultimatum sovietico venne lasciato cadere, così come poi accadde alla proposta di nuclearizzare la Germania Ovest). Il problema restava aperto, ma senza l’urgenza generata dal tono della dichiarazione sovietica.
Dopo una pausa di un anno, durante la quale gli esuli in fuga dalla RDT aumentarono, Chruscev, il 6 gennaio 1961, approfittando del passaggio di poteri fra Eisenhower e il neo eletto Kennedy, riprese la sua campagna per il trattato di pace con la RDT.
In febbraio Kennedy propose un vertice a due per arrivare a un chiarimento; l’incontro, che si tenne in giugno a Vienna, si risolse in una reciproca incomprensione. Kennedy propose la discussione concreta dei problemi sul tappeto; Chruscev ribadì, con la sua tecnica irruente, le sue richieste su Berlino. Kennedy seguì una linea di moderazione e misura; Chruscev interpretò questo atteggiamento come timidezza o incertezza. Kennedy, lungi dall’essere il giovane inesperto che Chruscev pensava di trovarsi davanti, stava rapidamente imparando il mestiere di presidente, vide che Chruscev voleva ancora sviluppare una tattica aggressiva e si preparò a rispondere con energia. Il 25 luglio 1961 Kennedy espose in un discorso le proprie determinazioni; annunciò il rafforzamento degli armamenti convenzionali e fece capire che, oltre ad avere già accresciuto il potenziale nucleare americano, gli USA avevano abbandonato l’atteggiamento pacato di Eisenhower e non avrebbero più accettato di lasciarsi considerare come una potenza in declino. Gli USA non avrebbero mai lanciato per primi un’offensiva nucleare, ma i sovietici dovevano sapere che la superiorità nucleare americana era tale da porli al riparo da minacce sovietiche.
Il 3 agosto 1961,in una riunione del Patto di Varsavia, la decisione di costruire a Berlino un muro che rendesse impossibile lo stillicidio delle emigrazioni apparve non come un rimedio provocatorio ma come un compromesso fra l’intransigenza di Ulbricht e la cautela di Chruscev. In un discorso del 7 agosto 1961 Chruscev abbassò il tono della polemica e escluse che vi fosse da parte sovietica qualsiasi intenzione di violare i legittimi interessi occidentali a Berlino Ovest e lungo le vie di accesso alla città.
Il 13 agosto le autorità di Berlino Est incominciarono a costruire una serie di barriere che rapidamente divennero un’alta muraglia che da allora separò fisicamente le due parti della città. Le misure di sorveglianza poste in essere per impedire ogni infrazione al divieto di transito confermavano la determinazione del governo Ulbricht di porre termine una volta per tutte allo stillicidio dei rifugiati.
Il muro divenne un simbolo di infamia e di debolezza. Esso era l’ammissione del fatto che la situazione di Berlino non poteva essere modificata. Le regole della coesistenza competitiva assumevano il concetto che la Germania non doveva essere modificata dal punto di vista territoriale. La difesa dell’Europa centrale era affidata in modo stabile agli americani, che da allora si convinsero di dover rimanere in Europa fino a tempo indeterminato. L’alternativa, cioè la nascita di una Germania nucleare, avrebbe modificato l’equilibrio fra le due superpotenze sino a un punto troppo pericoloso perché entrambe le parti potessero accettarla.
ATTUALITÀ
LA GUERRA CIVILE AMERICANA (terza parte)
“Dal punto di vista della storia militare la Guerra civile Americana è stata la prima guerra moderna. Essa segnò il passaggio dalla guerra del passato, che impegnava principalmente le forze militari, alla guerra moderna, che in grado diverso investe ogni gruppo sociale e che in definitiva comporta l’impegno completo della vita di una nazione. […] Essa fu la prima grande esperienza militare del popolo americano e la sua maggiore esperienza storica. Il dramma, l’angoscia, il valore degli anni 1861-65 divennero parte indelebile della coscienza nazionale e così pure una profonda comprensione del significato di questa guerra. Essa è il grande evento su cui si impernia la storia degli Stati Uniti, come la rivoluzione del 1789 è il cardine della storia di Francia. Appianò alcune divergenze e le appianò in modo definitivo; pose fine alla schiavitù e gettò le basi del capitalismo industriale; inoltre rinsaldò l’Unione e diede stabilità, se non addirittura vita, alla moderna nazione americana. Sebbene gli americani non abbiano cessato di discutere alcuni problemi rimasti insoluti, il grande risultato della guerra, cioè il rafforzamento dell’Unione, è stato accettato da tutte le componenti della nazione. Dopo il 1865, non c’è più stato partito, o classe, o gruppo che abbia sia pure soltanto contemplato la possibilità o la convenienza di dividere la nazione”. [“Storia del mondo moderno”, Cambridge University Press].
Fu una guerra terribile con più di 600.000 morti, cioè più delle vittime che gli Stati Uniti ebbero sommando tutte le altre guerre, dalla rivoluzione del 1775 in poi, fino ad arrivare ed includendo la guerra del Vietnam. Del resto, i campi di battaglia che ho visitato sembrano fatti apposta per favorire la carneficina: grandi e aperte spianate dove i due eserciti si potevano confrontare frontalmente con pochi ripari. Sono stati conservati così come erano a futura memoria del sacrificio e dell’eroismo di quei soldati, che potevano morire a migliaia nello spazio di un solo giorno. Vicino al muro di pietra della Sunken Road nei pressi di Fredericksbug ne morirono 40.000. Sul fatto che questa guerra abbia lasciato un segno indelebile nel popolo americano a me, lo ripeto, visitatore superficiale e occasionale non lascia dubbio alcuno. La traccia più evidente, e se volete anche più banale, è sicuramente il Lincoln memorial , il monumento ad Abraham Lincoln che sorge a Washington, con la sua posizione in linea retta al Parlamento, che sembra sorvegliare notte e giorno il bene più prezioso conquistato a caro prezzo in quegli anni: l’unità della nazione. La schiavitù, che era stata una delle cause della guerra, era stata abolita da Lincoln il 1 gennaio 1863, ma da allora lunga e dolorosa sarebbe stata la strada verso una reale emancipazione. Alla fine della guerra Lincoln, che era fermamente deciso a trattare gli Stati sudisti non come una terra nemica conquistata, ma come fratelli traviati e ritrovati, venne assassinato. Una immensa campagna di linciaggio morale fu scatenata contro il sud, che rimase sotto occupazione militare fino al 1877. Benché l’unità della nazione fosse stata salvata la contrapposizione fra nord e sud rimase e si è trascinata fino ai giorni nostri. Dopo la Guerra Civile, Ulysses S. Grant, (che aveva comandato le armate del Nord) divenne presidente degli Stati Uniti nel 1868 e nel 1872, mentre Robert E. Lee (che aveva comandato le armate del Sud) finì con onore i suoi anni insegnando all’università. La casa di Lee, che venne requisita durante la guerra per farne un cimitero (l’odierno cimitero di Arlington), è oggi un monumento nazionale. Jefferson Davis, invece, (il presidente dei confederati) fu gettato in prigione con l’accusa, inoltre, di avere cospirato per l’assassinio di Lincoln. I militari, in definitiva, ebbero una sorte migliore di quella che toccò ai politici. In buona sostanza la Guerra Civile rinforzò quella che era una consuetudine che cominciò con Washington: chi aveva ben servito il Paese sotto le armi era il miglior candidato per guidare la nazione.Il segno indelebile di questa guerra è evidente anche guardando la produzione cinematografica americana: uno dei primi e più grandi successi di Hollywood fu il film “Gone with the wind”, ambientato durante la guerra civile. Anche la produzione più recente non ha smesso di interessarsi al periodo e “Gangs of New York” si chiude con l’emblematica scena di una guerra civile che spazza via il terreno di confronto dei due protagonisti, benché anche questo fosse fatto di sangue e scontri tra opposte fazioni: le regole del gioco, da allora, non sarebbero state più le stesse. Io credo sia necessario, che ci piaccia o no, capire fino in fondo questa guerra per capire come gli Stati Uniti sentano la “guerra” e più in generale tutte le guerre che combattono e combatteranno. Non bisogna dimenticare che l’Unione, che poi vincerà, risultò essere l’aggressore della Confederazione che aveva dichiarato la secessione (benché il fatto scatenante della guerra fu l’attacco dei confederati a Forte Sumter). Fu quindi una guerra di aggressione che portò all’unità del paese. E’ naturale allora che in un Paese come questo la parola “guerra” evochi certamente orrore e distruzione, non disgiunti però da una certa ineluttabilità che renda la guerra stessa un passaggio obbligato per raggiungere obbiettivi di ordine superiore, che possano giustificare un tale sacrificio. E’ un retaggio storico importante e ancora molto vivo con il quale dobbiamo fare i conti ogniqualvolta ci si trovi a confronto con gli Stati Uniti su questi temi purtroppo di scottante attualità.
FONTI E APPROFONDIMENTI
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 14 “Dalla guerra fredda alla dissoluzione dell’URSS”, La Repubblica, Roma, 2004
Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000
La Storia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 11 “Risorgimento e rivoluzioni nazionali”, La Repubblica, Roma, 2004
Maldwyn A. Jones, Storia degli Stati Uniti, in Storia Universale del Corriere della Sera, vol. 25, Milano, 2005
Storia del mondo moderno Vol. X “Il culmine della potenza europea 1830-1870”, Cambridge University Press, 1964, Pubblicato in Italia da Garzanti , ristampa del 1997 - “The Civil War. A film by Ken Burns”, 1990, DVD by PBS Home Video year 2002