mercoledì, aprile 05, 2006

 

I DUALISMI DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO

EDITORIALE

Concludiamo la breve esposizione sullo sviluppo dell'economia italiana nei primi anni del secondo dopoguerra evidenziando i principali problemi emersi e non risolti di quegli anni.

Nella seconda parte, nell’occasione della festa del 2 giugno (a ricordo del 2 giugno 1946, data del referendum istituzionale per la scelta fra monarchia e repubblica), descriviamo il simbolo della Repubblica Italiana.

Buona lettura.

I FATTI

Miracolo economico. Espressione usata per indicare l’eccezionale crescita dell’economia italiana, in particolare fra il 1958 e il 1963.
Il tasso di crescita medio del PIL si assestò intorno al 6% annuo e si ebbero incrementi senza precedenti nel livello di occupazione, dei consumi interni e delle esportazioni.
Con il 1966 l’economia tornò a raggiungere un alto livello di sviluppo (5,6% contro il 3,6 del 1965 e il 2,9% del 1964).
L’anno successivo il tasso di sviluppo salì al 6,8%, raggiungendo il livello degli anni del “miracolo”.

IL CONTESTO

L’economia italiana nel secondo dopoguerra subì un’accelerazione notevole, soprattutto nel decennio 1955-1965. Una transizione così rapida da un’economia semiautarchica a un’economia aperta, nonché ai modelli di consumo di una società di massa, comportò una serie di squilibri e di sfasature, per i quali si è parlato di uno sviluppo economico dualistico.

Un primo forte ed evidente dualismo era quello relativo alla differenza tra Nord e Sud. Le prime evidenti tracce di questo divario sono già presenti all’atto dell’unità dell’Italia nel 1861. Il settore dell’agricoltura, a quel tempo, già segnava una notevole differenza: vaste zone di territorio nel meridione erano ancora in attesa di bonifica, molti beni comunali continuavano a essere oggetto di forme indiscriminate di sfruttamento collettivo, molti erano ancora i tratti di pianura incolti e infestati dalla malaria. Il regime fondiario, di fatto, impediva nel Sud il progredire dell’agricoltura; gli affittuari dei grandi feudi, arricchitisi con la speculazione sul grano e con l’usura tendevano a spremere coloni e braccianti senza apportare alcun rinnovamento ai metodi di coltivazione. D’altro canto il contratto di affittanza delle terre era regolato in modo tale da non indurre l’affittuario a migliorare il fondo ma piuttosto a depauperarlo. Nello stesso periodo anche nelle infrastrutture il Sud denunciava gravi carenze ed inoltre nessuna grande città meridionale aveva alle spalle un entroterra paragonabile, per ampiezza di scambi e per gamma di attività produttive e terziarie a quelli di Genova, Milano o Venezia. Inoltre il Nord contava su un migliore ordinamento dei catasti e del credito, una rete più estesa di trasporti e alcune importanti opere di trasformazione fondiaria dovute tanto all’iniziativa dello Stato e dei Privati, quanto all’apporto di investitori stranieri. Nel secondo dopoguerra tale situazione si era aggravata e anche gli interventi statali, puntando sulle grandi industrie di base petrolchimiche e siderurgiche, venivano assorbiti da pochi grandi aziende che non potevano dar luogo ad un’industrializzazione territorialmente diffusa.

Un secondo fenomeno di carattere dualistico stava nell’assoluta prevalenza dei consumi privati su quelli pubblici. In sostanza, nonostante i gravi problemi che già affliggevano le strutture sociali e le amministrazioni locali (per lo sviluppo imponente assunto dall’immigrazione e l’espansione convulsa delle aree metropolitane), non era avvenuto un adeguamento dei servizi d’interesse collettivo alla crescita della domanda. Malgrado il varo di una riforma tributaria legata al nome di Vanoni (1951), non si era posta mano all’attuazione di efficaci metodi di accertamento sulla veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, né di sanzioni adeguate. Assai ampia era rimasta la fascia dell’evasione fiscale e contributiva. Di fatto l’incidenza delle imposte dirette sul reddito e sul patrimonio, al totale delle entrate tributarie, non superò il 24% fra il 1949 e il 1963, ossia una quota addirittura più bassa del periodo giolittiano; allo Stato venne così a mancare un consistente gettito tributario, mentre la finanza pubblica si trovò a registrare una continua crescita delle spese correnti

Un ultimo dualismo riguardava il divario tra i diversi settori industriali. I settori metallurgico, meccanico, chimico e dei trasporti conobbero una notevole espansione tra il 1951 e il 1962, con cospicui investimenti, tasso di innovazione e di esportazione; i settori manifatturieri più tradizionali invece, caratterizzati da più bassi livelli di produttività o di attrezzamento tecnico, registrarono un tasso di sviluppo inferiore; inoltre, data la tendenza del settore più avanzato a privilegiare per esigenze competitive gli investimenti destinati all’aumento della produttività attraverso il rinnovamento degli impianti e non mediante l’aumento della manodopera, la maggior parte dei disoccupati e di quanti erano alla ricerca di un primo impiego finì per riversarsi verso i campi di attività meno qualificati o per trovare sfogo nella pubblica amministrazione. Anche lo scarso dinamismo o l’arretratezza di una parte consistente del settore agricolo ebbero il loro peso. Circa l’80% della superficie coltivata era distribuita fra due milioni e mezzo di unità aziendali, di cui due milioni con dimensioni inferiori ai 5 ettari. Da aggiungere poi che le terre più fertili riguardavano poco più di un terzo della superficie coltivata ed erano prevalentemente concentrate in Val Padana. La meccanizzazione era proceduta a rilento e scarsa applicazione avevano conosciuto i nuovi sistemi di gestione che combinavano la zootecnica e l’industria alimentare. In realtà, per rendere più efficiente e competitiva la nostra agricoltura, sarebbe stato necessario, da un lato, promuovere la più ampia diffusione possibile di sistemi associativi e cooperativi; dall’altro, ripartire meglio sia l’erogazione del credito agricolo che i servizi di assistenza tecnica. Le scarse potenzialità del settore agricolo comportarono un aumento dei prezzi e aprirono larghe falle nei conti della bilancia commerciale. Anche per questo motivo, oltre che per le strozzature esistenti nell’offerta di abitazioni e di servizi, cominciarono a venire in piena luce gli squilibri e gli elementi di fragilità che di lì a poco tempo avrebbero segnato la fine degli anni del “miracolo economico”.

ATTUALITÀ


IL SIMBOLO DELLA REPUBBLICA

L'emblema della Repubblica è una ruota dentata con stella a cinque punte, circondata dai due rami di ulivo e di quercia annodati da un cartiglio recante la scritta: Repubblica Italiana.

La scelta del bozzetto avvenne dopo una procedura rivelatasi più complessa del previsto. La speciale Commissione costituita presso l'Assemblea Costituente con l'incarico di esaminare i progetti inviati dalla Presidenza del Consiglio a seguito del concorso indetto con decreto del Presidente del Consiglio del 27 ottobre 1946 ritenne, infatti, tali progetti non "idonei allo scopo". Fu, quindi, indetto un nuovo concorso. La Commissione propose all'unanimità il bozzetto di Paolo Paschetto e l'Assemblea Costituente approvò tale proposta.


Il primo concorso

Il concorso nazionale è aperto a tutti, basato su poche tracce: esclusione rigorosa dei simboli di partito, inserimento della stella d'Italia, "ispirazione dal senso della terra e dei comuni". Ai primi cinque classificati sarebbe andato un premio di 10.000 lire (circa 250 euro di oggi).

Al concorso rispondono 341 candidati, con 637 disegni in bianco e nero. I cinque vincitori vengono invitati a preparare nuovi bozzetti con un tema imposto dalla Commissione: "una cinta turrita che abbia forma di corona", circondata da una ghirlanda di fronde della flora italiana. In basso, la rappresentazione del mare, in alto, la stella d'Italia d'oro; infine, le parole UNITÀ e LIBERTÀ. La scelta cadde sul bozzetto del pittore Paolo Paschetto (Torre Pellice, Torino 1885 – 1963), al quale andarono ulteriori 50.000 lire e l'incarico di preparare il disegno definitivo, che la Commissione trasmise al Governo per l'approvazione.


Il secondo concorso

L'emblema non piacque (qualcuno lo definì addirittura "tinozza") e fu perciò nominata una nuova Commissione che bandì un secondo concorso, di cui però non rimane traccia negli archivi.

L'esame di alcune lettere farebbe pensare che l'orientamento fosse di privilegiare un simbolo legato all'idea del lavoro. Anche questa volta risultò vincitore Paolo Paschetto.
La proposta approdò all'Assemblea Costituente dove, con non pochi contrasti, fu approvata nella seduta del 31 gennaio 1948.
Il 5 maggio il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola firma il decreto legislativo n. 535, che consegna all'Italia il suo simbolo.

La lettura dell'emblema

L'emblema è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.
La stella è sempre stata associata alla personificazione dell'Italia. Così fu rappresentata nell'iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l'appartenenza alle Forze Armate. La ruota dentata d'acciaio, simbolo dell'attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale; la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo.

Sabato 2 aprile si è concluso il pontificato di Giovanni Paolo II.

Karol Wojtyla è stato eletto Papa il 16 ottobre 1978.

“Oggi, sabato 2 aprile, alle ore 21.37

il Signore ha chiamato a Sé

IL SANTO PADRE

GIOVANNI PAOLO II

Ci hai lasciati, Padre Santo.
Ti sei consumato per noi.
In quest'ora - per Te gloriosa, per noi
dolente - ci sentiamo abbandonati.
Ma Tu prendici per mano e guidaci
con quella Tua Mano che in questi mesi
si è fatta in Te anche parola.
Grazie, Padre Santo!”

(L’Osservatore Romano, edizione straordinaria della notte del 2 aprile).

“Quante volte, il Papa ha ripetuto in questi 26 anni che i mutui rapporti fra gli uomini e fra i popoli non si possono basare solo sulla giustizia, ma debbono essere perfezionati dall’amore misericordioso, che è tipico del messaggio cristiano.

Giovanni Paolo II, anzi, Giovanni Paolo il Grande divenne così il cantore della civiltà dell’amore, vedendo in tale termine una delle definizioni più belle della “civiltà cristiana”. Sì, la civiltà cristiana è civiltà dell’amore, a differenza radicale di quelle civiltà dell’odio che furono proposte dal nazismo e dal comunismo.” (Card. Angelo Sodano, omelia della Concelebrazione eucaristica in suffragio, domenica 3 aprile)

“All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e riapre l’animo alla speranza. E’ amore che converte i cuori e dona la pace. Quanto bisogno ha il mondo di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia!”

(messaggio preparato da Giovanni Paolo II per la seconda domenica di Pasqua, 3 aprile, solennità della Divina Misericordia)

Mercoledì 19 aprile Joseph Ratzinger è stato eletto Papa, con il nome di Benedetto XVI.

FONTI E APPROFONDIMENTI
Le imprese industriali nel processo di sviluppo (1953-1975) di Giovanni Bruno, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. II - Tomo primo, Torino, Einaudi, 1994 e Valerio Castronovo, Storia economica d’Italia, Torino, Einaudi, 1995
L’economia italiana tra la fine della seconda guerra mondiale e il “secondo miracolo economico” (1945-58) di Giorgio Mori, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. I, Torino, Einaudi, 1994
Per l’attualità, http://www.quirinale.it/simboli/emblema/emblema-aa.htm

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