mercoledì, aprile 05, 2006
IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO NEL SECONDO DOPOGUERRA
EDITORIALE
Dopo avere presentato il sistema di cambi nato a Bretton Woods e le ricadute che necessariamente ne conseguivano sul sistema economico del mondo occidentale, in questo e nei prossimi numeri getteremo uno sguardo sull'economia italiana nei primi anni del secondo dopoguerra.
Nella seconda parte concludiamo la nostra breve esposizione sulla Costituzione italiana dando qualche accenno sulla discussione in aula di alcuni tra i suoi primi articoli, quelli che riguardano i principi fondamentali.
In allegato a questo numero potete trovare il testo integrale della Costituzione italiana nell’edizione del 2003 del Senato della Repubblica.
Buona lettura.
I FATTI
Il 24 ottobre 1929 si verifica il crollo della borsa di New York ed ha così inizio il cosiddetto periodo della “grande depressione” per tutti i paesi capitalistici. In Italia, a causa della maggiore concentrazione dei nuovi posti di lavoro nei servizi e nell’edilizia e del progressivo calo delle esportazioni di beni di consumo durevoli, gli effetti di tale crisi si vedranno solo a partire dai primi anni ’30.
Per potere fare fronte a questa crisi il 3 dicembre del 1931 viene fondato l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), quale tentativo di riordino del settore bancario italiano.
Il 23 gennaio del 1933 viene fondato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) con due settori di intervento: la Sezione finanziamenti (che si affianca all’attività dell’Imi nel credito alle imprese) e la Sezione smobilizzi (che andrà via via acquistando le partecipazioni azionarie di industrie di diversi settori: telefonico, marittimo, edilizio, finanziario, siderurgico, meccanico).
Presidente dell’IRI viene nominato Alberto Beneduce, direttore generale Donato Menichella.
Il 12 marzo 1934 l’IRI acquisisce il controllo dei tre maggiori istituti di credito – Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma- accollandosi l’onere del loro risanamento finanziario ed entrando in possesso dei pacchetti azionari delle industrie da questi detenuti.
Nell’ottobre del 1936 viene emanata la legge per il riordino del sistema bancario che sanziona la fine della banca mista: gli istituti non possono più compiere operazioni di credito industriale a lungo termine.
La Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma sono dichiarate banche di interesse nazionale (BIN).
IL CONTESTO
Tra le fine del 1931 e i primi mesi del 1932 gli effetti della depressione si propagarono con sempre maggiore violenza anche nel nostro Paese. Alla liquidazione in massa degli investimenti a breve termine, a una vasta sequenza di fallimenti e al crollo in borsa dei titoli azionari (colpiti da una svalutazione media di quasi il 40%) si accompagnò una caduta verticale dei prezzi.
Nessun settore riuscì a salvarsi dagli sconquassi della depressione. In questa situazione gran parte del sistema economico sarebbe colato a picco se lo Stato non fosse intervenuto con l’operazione che nel 1933 portò alla nascita dell’IRI. Lo Stato non si caricò soltanto del fardello di alcune imprese malconce, ma si addossò anche il compito di scongiurare il crollo delle principali banche, coinvolte a tal punto nel finanziamento e nella gestione del sistema industriale da trovarsi in pratica sull’orlo del fallimento, travolte da una massa di immobilizzi a medio e lungo termine.
Nel 1932, su un totale di depositi e conti correnti pari a 4,5 miliardi di lire di allora, gli immobilizzi industriali ammontavano a ben 12 miliardi di lire. Le anomalie dovute agli stretti rapporti fra le “banche miste” e il sistema industriale aveva finito per coinvolgere anche la Banca d’Italia, giacché essa aveva dovuto impegnarsi, a seconda delle necessità, in varie operazioni a sostegno degli istituti di credito più esposti.
La riforma bancaria del 1936 da un lato stabilì una netta distinzione fra esercizio del credito ordinario ed esercizio del credito mobiliare, dall’altro accrebbe (al di là delle prerogative già attribuite dieci anni prima alla Banca d’Italia) l’ambito e gli strumenti della vigilanza pubblica sul mercato finanziario, al fine di tutelare i risparmiatori e di ricomporre il sistema bancario su basi più salde. In pratica venne fatto divieto alle banche di deposito e di sconto di intervenire nel campo del credito industriale (lasciato così al mercato finanziario e ad istituti speciali di credito mobiliare), mentre al vertice dell’organizzazione creditizia fu insediato un gruppo di enti e soggetti pubblici facente capo al governo e alla Banca d’Italia.
Il nuovo sistema bancario italiano del secondo dopoguerra si completò con la fondazione, il 10 aprile 1946, della Banca di Credito Finanziario, poi nota come Mediobanca, ad opera delle tre banche di interesse nazionale. Primo direttore fu nominato Enrico Cuccia, proveniente dalla Commerciale e genero di Alberto Beneduce.
Il nuovo istituto si sarebbe occupato del credito a medio termine, da uno a cinque anni, approvvigionandosi con il risparmio privato e con l’emissione di buoni fruttiferi e di obbligazioni con analoga scadenza, ma anche con il collocamento di azioni e di obbligazioni per conto terzi ed altre minori attività.
Di fatto, riprendendo la funzione esercitata un tempo dalla “banca mista”, ma senza coinvolgere in modo diretto le banche ordinarie, Mediobanca da un lato presidierà gli aspetti proprietari e di controllo societario nell’ambito dell’establishment economico e dall’altro promuoverà e coordinerà le relazioni fiduciarie e di sindacato più funzionali alle mutevoli potenzialità e strategie di alcuni dei maggiori gruppi industriali e finanziari italiani.
ATTUALITÀ
LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA DICSUSSONE IN AULA
Concludiamo la nostra esposizione sulla Costituzione italiana descrivendo come si è giunti all’approvazione di alcuni dei primi 12 articoli, quelli relativi ai principi fondamentali.
ARTICOLO 1
In Assemblea la formula Fanfani (“…fondata sul lavoro…”) fu illustrata dallo stesso relatore il quale spiegò che la frase proposta costituiva “l’affermazione del dovere di ogni uomo di…[fornire] il massimo contributo alla prosperità comune”, fuggendo un’interpretazione di “pura esaltazione della fatica muscolare o del puro sforzo fisico”. Anche il Presidente della Commissione dei “75” Ruini aderì alla proposta di inserimento di questo concetto nella formulazione offerta da Fanfani: “Lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana”.
Che la sovranità dovesse appartenere al popolo o allo Stato fu un argomento di discussione, basato soprattutto su ragioni storiche, dapprima all’interno della Commissione, e poi all’interno dell’Assemblea.
Ruini commentò così la discussione che seguì e che riguardò principalmente i termini da utilizzare: “Non inopportunamente è stato scelto «appartiene» al popolo; mentre «emana dal popolo» poteva far dubitare che, una volta emanato, non risiedesse più nel popolo”".
“… La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e del referendum”.
ARTICOLO 2
La discussione in Assemblea Costituente fu limitata: la formula fu concordata tra le maggiori correnti politiche.
ARTICOLO 3
In particolare Ruini sottolineò l’importanza dell’uguaglianza “senza distinzione di sesso”: per la prima volta, infatti, dopo il suffragio universale nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i costituenti avevano sancito la parità e l’eguaglianza tra i sessi.
ARTICOLO 5
La formula “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” si adottò per sottolineare l’ormai sopravvenuta impossibilità, da parte del Parlamento, a produrre leggi “minute e particolareggiate”. Lo sviluppo del nuovo Stato avrebbe portato il Parlamento alla creazione di leggi-cornice, che avrebbero racchiuso quei principi base che sarebbero poi stati integrati ed attuati dal Governo o dagli altri organi ed enti dello Stato (le regioni).
ARTICOLO 7
Durante la fase costituente l’unità del paese appariva come la conquista da difendere: obiettivo il cui conseguimento imponeva di evitare che fosse rimessa in discussione la pace religiosa, raggiunta grazie alla Conciliazione del 1929.
Proprio in questa prospettiva, molti videro di buon grado l’inserimento dei Patti Lateranensi nella nuova Costituzione, ritenendo che ciò avrebbe consentito di compiere “un nuovo e definitivo passo … verso il consolidamento della pace religiosa nel nostro Paese, consacrando la fine del dannoso divorzio tra la coscienza cattolica e la coscienza nazionale del nostro popolo che, nella quasi sua totalità, rimane fedele alla religione dei Padri”; l’On. La Pira fece notare la centralità del problema religioso sostenendo che una Costituzione pluralista che considerasse la concreta realtà sociale del Paese non avrebbe potuto non tener conto di quella “struttura sociale religiosa che è la Chiesa” .
“[…]DE GASPERI [DC] "Se si voterà contro l'articolo non saremo noi che apriremo una battaglia politica; sarete voi che aprirete in questo dilaniato corpo italiano una nuova ferita".
NENNI [PSI] afferma "L'appello di De Gasperi a tutti i repubblicani [nel senso di tutti gli eletti al parlamento italiano N.d.R.] perché meditino le conseguenze che un voto negativo potrebbe avere non soltanto sulla pace religiosa ma anche sulla pace politica del paese non modifica l'atteggiamento del suo partito [i socialisti N.d.R.]. I socialisti, con la coscienza di fare il loro dovere, voteranno contro l'Art. 7".
TOGLIATTI [PCI]:"Per quanto riguarda la prima parte, in cui si dice che lo stato e la chiesa cattolica sono organi nel proprio ordine indipendenti e sovrani, il gruppo comunista non ha difficoltà ad approvarla nella sua precisa formulazione. Quanto alle seconda parte dell'articolo, in cui si stabilisce che i rapporti fra stato e chiesa siano regolati dai Patti Lateranensi, è essa che ha formato argomento alle più appassionate discussioni, ma anche su questo punto l'orientamento suo [del gruppo comunista N.d.R.] e del suo partito [comunista N.d.R.] è preciso ed esplicito. Fin dal 1946, in occasione del quinto congresso comunista, pose, e il congresso approvò, come postulati del partito i seguenti:
1) Rivendicare la libertà di coscienza, di fede, di culto e di propaganda religiosa;
2) considerare definitivamente chiusa la questione romana;
3) affermare che i Patti Lateranensi, essendo strumento bilaterale, non possono essere modificati che bilateralmente.
La pace religiosa - prosegue Togliatti - è stata permanentemente l'obiettivo del partito comunista. Ecco perché la dichiarazione che egli [il gruppo comunista N.d.R.] è per fare potrebbe trasformarsi in un appello a tutte le altre parti della Camera di votare come i comunisti voteranno. Col suo voto egli comprende benissimo che la responsabilità che il partito comunista si assume è assai grave, più grave ancora di quella del partito socialista, ma il fatto essenziale è questo: la classe operaia non vuole scissione per motivi religiosi e non vuole intaccata l'unità morale e politica della nazione. Di queste due esigenze i comunisti non possono non tener conto.
Unico scopo che muove i comunisti è quello dell'unità delle masse lavoratrici in Italia. Per questa unità i comunisti voteranno a favore".
I risultati della votazione sono i seguenti: presenti e votanti 499, maggioranza 250: hanno votato a favore 350, votato contro 149. I due commi dell'Art. 7 sono approvati.
Hanno votato sì: democristiani, comunisti, qualunquisti, una parte dei liberali.” (Ag. Ansa, 25 marzo 1946).
ARTICOLO 11
Il pacifismo fu un atteggiamento mentale condiviso da tutti i partiti politici, alla Costituente; questa componente del pacifismo venne incorporata nell’articolo 11.
Non ci si limitò a parlare del ripudio della guerra in generale, ma si disse: la guerra noi la rifiutiamo in quanto sia strumento di offesa alla libertà degli altri popoli; non ci fu cioè un accoglimento generico e fumoso del pacifismo.
Alla base del ripudio della guerra vi fu, tra i padri fondatori della Costituzione italiana, l’intendimento di trasferire sul piano internazionale quei principi di libertà, di uguaglianza e di sostanziale rispetto della persona umana, che si volevano affermare ed attuare nell’ordine interno.
L’articolo 11 della Carta fondamentale però non si limita al ripudio dello strumento bellico, ma ha costituito e costituisce la base giuridico-costituzionale per l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali (in primis, l’ONU) e per le reciproche limitazioni di sovranità che hanno condotto, con la nascita dell’Unione Europea, “dal nazionale al sovranazionale”.
I PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 5.
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministra-tivo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentra-mento.
Art. 6.
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Art. 7.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 9.
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 10.
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.
Art. 11.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12.
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
FONTI E APPROFONDIMENTI
Valerio Castronovo, Storia economica d’Italia, Torino, Einaudi, 1995
L’economia italiana tra la fine della seconda guerra mondiale e il “secondo miracolo economico”(1945-58) di Giorgio Mori, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. I, Torino, Einaudi , 1994.
L’economia italiana dal secondo dopoguerra a oggi di Paride Rugafiori, in “La storia – I grandi problemi dell’età contemporanea”, opera coordinata da N. Tranfaglia e M. Firpo, Vol. V, Garzanti, 2001, pp. 121-153;
A.A.V.V., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, Milano, Rizzoli, 2002; 1971 e aggiornamenti su CDRom
A.A.V.V., Enciclopedia della storia universale, Novara, De Agostini, 2000
http://www.dse.unive.it/storia/sem07.htm e, per la parte di attualità, http://www.cronologia.it/cost01.htm
Per il testo della Costituzione: http://www.senato.it/istituzione/costituzione/articoli.htm
Dopo avere presentato il sistema di cambi nato a Bretton Woods e le ricadute che necessariamente ne conseguivano sul sistema economico del mondo occidentale, in questo e nei prossimi numeri getteremo uno sguardo sull'economia italiana nei primi anni del secondo dopoguerra.
Nella seconda parte concludiamo la nostra breve esposizione sulla Costituzione italiana dando qualche accenno sulla discussione in aula di alcuni tra i suoi primi articoli, quelli che riguardano i principi fondamentali.
In allegato a questo numero potete trovare il testo integrale della Costituzione italiana nell’edizione del 2003 del Senato della Repubblica.
Buona lettura.
I FATTI
Il 24 ottobre 1929 si verifica il crollo della borsa di New York ed ha così inizio il cosiddetto periodo della “grande depressione” per tutti i paesi capitalistici. In Italia, a causa della maggiore concentrazione dei nuovi posti di lavoro nei servizi e nell’edilizia e del progressivo calo delle esportazioni di beni di consumo durevoli, gli effetti di tale crisi si vedranno solo a partire dai primi anni ’30.
Per potere fare fronte a questa crisi il 3 dicembre del 1931 viene fondato l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), quale tentativo di riordino del settore bancario italiano.
Il 23 gennaio del 1933 viene fondato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) con due settori di intervento: la Sezione finanziamenti (che si affianca all’attività dell’Imi nel credito alle imprese) e la Sezione smobilizzi (che andrà via via acquistando le partecipazioni azionarie di industrie di diversi settori: telefonico, marittimo, edilizio, finanziario, siderurgico, meccanico).
Presidente dell’IRI viene nominato Alberto Beneduce, direttore generale Donato Menichella.
Il 12 marzo 1934 l’IRI acquisisce il controllo dei tre maggiori istituti di credito – Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma- accollandosi l’onere del loro risanamento finanziario ed entrando in possesso dei pacchetti azionari delle industrie da questi detenuti.
Nell’ottobre del 1936 viene emanata la legge per il riordino del sistema bancario che sanziona la fine della banca mista: gli istituti non possono più compiere operazioni di credito industriale a lungo termine.
La Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma sono dichiarate banche di interesse nazionale (BIN).
IL CONTESTO
Tra le fine del 1931 e i primi mesi del 1932 gli effetti della depressione si propagarono con sempre maggiore violenza anche nel nostro Paese. Alla liquidazione in massa degli investimenti a breve termine, a una vasta sequenza di fallimenti e al crollo in borsa dei titoli azionari (colpiti da una svalutazione media di quasi il 40%) si accompagnò una caduta verticale dei prezzi.
Nessun settore riuscì a salvarsi dagli sconquassi della depressione. In questa situazione gran parte del sistema economico sarebbe colato a picco se lo Stato non fosse intervenuto con l’operazione che nel 1933 portò alla nascita dell’IRI. Lo Stato non si caricò soltanto del fardello di alcune imprese malconce, ma si addossò anche il compito di scongiurare il crollo delle principali banche, coinvolte a tal punto nel finanziamento e nella gestione del sistema industriale da trovarsi in pratica sull’orlo del fallimento, travolte da una massa di immobilizzi a medio e lungo termine.
Nel 1932, su un totale di depositi e conti correnti pari a 4,5 miliardi di lire di allora, gli immobilizzi industriali ammontavano a ben 12 miliardi di lire. Le anomalie dovute agli stretti rapporti fra le “banche miste” e il sistema industriale aveva finito per coinvolgere anche la Banca d’Italia, giacché essa aveva dovuto impegnarsi, a seconda delle necessità, in varie operazioni a sostegno degli istituti di credito più esposti.
La riforma bancaria del 1936 da un lato stabilì una netta distinzione fra esercizio del credito ordinario ed esercizio del credito mobiliare, dall’altro accrebbe (al di là delle prerogative già attribuite dieci anni prima alla Banca d’Italia) l’ambito e gli strumenti della vigilanza pubblica sul mercato finanziario, al fine di tutelare i risparmiatori e di ricomporre il sistema bancario su basi più salde. In pratica venne fatto divieto alle banche di deposito e di sconto di intervenire nel campo del credito industriale (lasciato così al mercato finanziario e ad istituti speciali di credito mobiliare), mentre al vertice dell’organizzazione creditizia fu insediato un gruppo di enti e soggetti pubblici facente capo al governo e alla Banca d’Italia.
Il nuovo sistema bancario italiano del secondo dopoguerra si completò con la fondazione, il 10 aprile 1946, della Banca di Credito Finanziario, poi nota come Mediobanca, ad opera delle tre banche di interesse nazionale. Primo direttore fu nominato Enrico Cuccia, proveniente dalla Commerciale e genero di Alberto Beneduce.
Il nuovo istituto si sarebbe occupato del credito a medio termine, da uno a cinque anni, approvvigionandosi con il risparmio privato e con l’emissione di buoni fruttiferi e di obbligazioni con analoga scadenza, ma anche con il collocamento di azioni e di obbligazioni per conto terzi ed altre minori attività.
Di fatto, riprendendo la funzione esercitata un tempo dalla “banca mista”, ma senza coinvolgere in modo diretto le banche ordinarie, Mediobanca da un lato presidierà gli aspetti proprietari e di controllo societario nell’ambito dell’establishment economico e dall’altro promuoverà e coordinerà le relazioni fiduciarie e di sindacato più funzionali alle mutevoli potenzialità e strategie di alcuni dei maggiori gruppi industriali e finanziari italiani.
ATTUALITÀ
LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA DICSUSSONE IN AULA
Concludiamo la nostra esposizione sulla Costituzione italiana descrivendo come si è giunti all’approvazione di alcuni dei primi 12 articoli, quelli relativi ai principi fondamentali.
ARTICOLO 1
In Assemblea la formula Fanfani (“…fondata sul lavoro…”) fu illustrata dallo stesso relatore il quale spiegò che la frase proposta costituiva “l’affermazione del dovere di ogni uomo di…[fornire] il massimo contributo alla prosperità comune”, fuggendo un’interpretazione di “pura esaltazione della fatica muscolare o del puro sforzo fisico”. Anche il Presidente della Commissione dei “75” Ruini aderì alla proposta di inserimento di questo concetto nella formulazione offerta da Fanfani: “Lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana”.
Che la sovranità dovesse appartenere al popolo o allo Stato fu un argomento di discussione, basato soprattutto su ragioni storiche, dapprima all’interno della Commissione, e poi all’interno dell’Assemblea.
Ruini commentò così la discussione che seguì e che riguardò principalmente i termini da utilizzare: “Non inopportunamente è stato scelto «appartiene» al popolo; mentre «emana dal popolo» poteva far dubitare che, una volta emanato, non risiedesse più nel popolo”".
“… La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e del referendum”.
ARTICOLO 2
La discussione in Assemblea Costituente fu limitata: la formula fu concordata tra le maggiori correnti politiche.
ARTICOLO 3
In particolare Ruini sottolineò l’importanza dell’uguaglianza “senza distinzione di sesso”: per la prima volta, infatti, dopo il suffragio universale nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i costituenti avevano sancito la parità e l’eguaglianza tra i sessi.
ARTICOLO 5
La formula “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” si adottò per sottolineare l’ormai sopravvenuta impossibilità, da parte del Parlamento, a produrre leggi “minute e particolareggiate”. Lo sviluppo del nuovo Stato avrebbe portato il Parlamento alla creazione di leggi-cornice, che avrebbero racchiuso quei principi base che sarebbero poi stati integrati ed attuati dal Governo o dagli altri organi ed enti dello Stato (le regioni).
ARTICOLO 7
Durante la fase costituente l’unità del paese appariva come la conquista da difendere: obiettivo il cui conseguimento imponeva di evitare che fosse rimessa in discussione la pace religiosa, raggiunta grazie alla Conciliazione del 1929.
Proprio in questa prospettiva, molti videro di buon grado l’inserimento dei Patti Lateranensi nella nuova Costituzione, ritenendo che ciò avrebbe consentito di compiere “un nuovo e definitivo passo … verso il consolidamento della pace religiosa nel nostro Paese, consacrando la fine del dannoso divorzio tra la coscienza cattolica e la coscienza nazionale del nostro popolo che, nella quasi sua totalità, rimane fedele alla religione dei Padri”; l’On. La Pira fece notare la centralità del problema religioso sostenendo che una Costituzione pluralista che considerasse la concreta realtà sociale del Paese non avrebbe potuto non tener conto di quella “struttura sociale religiosa che è la Chiesa” .
“[…]DE GASPERI [DC] "Se si voterà contro l'articolo non saremo noi che apriremo una battaglia politica; sarete voi che aprirete in questo dilaniato corpo italiano una nuova ferita".
NENNI [PSI] afferma "L'appello di De Gasperi a tutti i repubblicani [nel senso di tutti gli eletti al parlamento italiano N.d.R.] perché meditino le conseguenze che un voto negativo potrebbe avere non soltanto sulla pace religiosa ma anche sulla pace politica del paese non modifica l'atteggiamento del suo partito [i socialisti N.d.R.]. I socialisti, con la coscienza di fare il loro dovere, voteranno contro l'Art. 7".
TOGLIATTI [PCI]:"Per quanto riguarda la prima parte, in cui si dice che lo stato e la chiesa cattolica sono organi nel proprio ordine indipendenti e sovrani, il gruppo comunista non ha difficoltà ad approvarla nella sua precisa formulazione. Quanto alle seconda parte dell'articolo, in cui si stabilisce che i rapporti fra stato e chiesa siano regolati dai Patti Lateranensi, è essa che ha formato argomento alle più appassionate discussioni, ma anche su questo punto l'orientamento suo [del gruppo comunista N.d.R.] e del suo partito [comunista N.d.R.] è preciso ed esplicito. Fin dal 1946, in occasione del quinto congresso comunista, pose, e il congresso approvò, come postulati del partito i seguenti:
1) Rivendicare la libertà di coscienza, di fede, di culto e di propaganda religiosa;
2) considerare definitivamente chiusa la questione romana;
3) affermare che i Patti Lateranensi, essendo strumento bilaterale, non possono essere modificati che bilateralmente.
La pace religiosa - prosegue Togliatti - è stata permanentemente l'obiettivo del partito comunista. Ecco perché la dichiarazione che egli [il gruppo comunista N.d.R.] è per fare potrebbe trasformarsi in un appello a tutte le altre parti della Camera di votare come i comunisti voteranno. Col suo voto egli comprende benissimo che la responsabilità che il partito comunista si assume è assai grave, più grave ancora di quella del partito socialista, ma il fatto essenziale è questo: la classe operaia non vuole scissione per motivi religiosi e non vuole intaccata l'unità morale e politica della nazione. Di queste due esigenze i comunisti non possono non tener conto.
Unico scopo che muove i comunisti è quello dell'unità delle masse lavoratrici in Italia. Per questa unità i comunisti voteranno a favore".
I risultati della votazione sono i seguenti: presenti e votanti 499, maggioranza 250: hanno votato a favore 350, votato contro 149. I due commi dell'Art. 7 sono approvati.
Hanno votato sì: democristiani, comunisti, qualunquisti, una parte dei liberali.” (Ag. Ansa, 25 marzo 1946).
ARTICOLO 11
Il pacifismo fu un atteggiamento mentale condiviso da tutti i partiti politici, alla Costituente; questa componente del pacifismo venne incorporata nell’articolo 11.
Non ci si limitò a parlare del ripudio della guerra in generale, ma si disse: la guerra noi la rifiutiamo in quanto sia strumento di offesa alla libertà degli altri popoli; non ci fu cioè un accoglimento generico e fumoso del pacifismo.
Alla base del ripudio della guerra vi fu, tra i padri fondatori della Costituzione italiana, l’intendimento di trasferire sul piano internazionale quei principi di libertà, di uguaglianza e di sostanziale rispetto della persona umana, che si volevano affermare ed attuare nell’ordine interno.
L’articolo 11 della Carta fondamentale però non si limita al ripudio dello strumento bellico, ma ha costituito e costituisce la base giuridico-costituzionale per l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali (in primis, l’ONU) e per le reciproche limitazioni di sovranità che hanno condotto, con la nascita dell’Unione Europea, “dal nazionale al sovranazionale”.
I PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 5.
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministra-tivo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentra-mento.
Art. 6.
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Art. 7.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 9.
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 10.
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.
Art. 11.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12.
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
FONTI E APPROFONDIMENTI
Valerio Castronovo, Storia economica d’Italia, Torino, Einaudi, 1995
L’economia italiana tra la fine della seconda guerra mondiale e il “secondo miracolo economico”(1945-58) di Giorgio Mori, in “Storia dell’Italia repubblicana”, Vol. I, Torino, Einaudi , 1994.
L’economia italiana dal secondo dopoguerra a oggi di Paride Rugafiori, in “La storia – I grandi problemi dell’età contemporanea”, opera coordinata da N. Tranfaglia e M. Firpo, Vol. V, Garzanti, 2001, pp. 121-153;
A.A.V.V., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, Milano, Rizzoli, 2002; 1971 e aggiornamenti su CDRom
A.A.V.V., Enciclopedia della storia universale, Novara, De Agostini, 2000
http://www.dse.unive.it/storia/sem07.htm e, per la parte di attualità, http://www.cronologia.it/cost01.htm
Per il testo della Costituzione: http://www.senato.it/istituzione/costituzione/articoli.htm