venerdì, marzo 16, 2007

 

IL CENTROSINISTRA IN ITALIA (seconda parte)

EDITORIALE

Concludiamo il racconto dell’avvio del centrosinistra in Italia preceduto da una scheda biografica su Aldo Moro, che fu il principale artefice di questa svolta politica.

Nella seconda parte portiamo a termine la storia della bandiera italiana descrivendone le caratteristiche. Buona lettura.



29 anni fa, nella stessa ora in cui vi viene inviato questo bollettino, brutali forze reazionarie contigue all’area dell’estrema sinistra rapivano il presidente della DC Aldo Moro e massacravano cinque servitori dello Stato che costituivano la sua scorta.

Nelle due righe soprastanti, che siamo sicuri non mancheranno di farvi discutere, sono racchiusi i temi di un incontro che il Settore Attualità e Storia organizzerà in un weekend di settembre 2007. Seguiranno i dettagli organizzativi.

LA SCHEDA

ALDO MORO (1916-1978)

Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Bari nel 1938, Moro insegnò diritto penale e istituzioni di diritto penale a Bari e a Roma. Nel 1939 divenne presidente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), nella quale si formò buona parte della classe dirigente cattolica. Nel 1945 divenne presidente dell’associazione laureati dell’Azione cattolica e nel 1946 venne eletto all’assemblea costituente. Fece parte della commissione dei Settantacinque, che provvide all’elaborazione materiale del testo costituzionale. Eletto deputato nel 1948 nel collegio di Bari, ove venne rieletto fino al 1976, Moro, dopo aver fatto parte come sottosegretario degli Esteri del quinto governo De Gasperi, nel 1953 fu eletto presidente del gruppo DC alla Camera. Ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Segni e della Pubblica istruzione nel governo Zoli e nel secondo ministero Fanfani, il 16 marzo 1959 venne eletto segretario della DC al posto di Fanfani, sfiduciato dalla maggioranza nella riunione del convento di Santa Dorotea a Roma.

Guidò il partito all’apertura a sinistra, attentissimo a far convogliare tutto il grande corpo della DC, nella quale al centro-sinistra si opponevano le destre di Andreotti e Scelba, all’alleanza con i socialisti. Memorabile fu il suo intervento al congresso di Napoli del gennaio 1962 quando, dopo un intervento di sette ore, convinse anche i più recalcitranti a dare via libera all’accordo.

Presidente del consiglio dal dicembre 1963 alle elezioni del 1968, i suoi governi di centro-sinistra, per quanto di durata superiore alla media italiana, si rivelarono sostanzialmente immobili, tesi più a salvaguardare la formula che a riformare il Paese. Dopo l’esito delle elezioni del 1968, ritenute deludenti dal partito, non fu riconfermato alla guida del governo. Il movimento del ’68 fu per Moro occasione di riflessione politica. Prese le mosse dall’insoddisfazione della società italiana e delle giovani generazioni la ricerca di una nuova fase della vita politica, che si espresse nella “strategia dell’attenzione” nei confronti del PCI.

All’opposizione interna della DC, Moro fu ministro degli Esteri in quattro governi guidati da Rumor. Alla caduta di quest’ultimo, nell’ottobre 1974 ritornò a Palazzo Chigi alla guida di un governo con La Malfa vicepresidente del consiglio. Dimessosi nel gennaio 1976, formò un ultimo ministero per condurre il Paese alle elezioni anticipate.

Nel luglio 1976 venne eletto presidente della DC, guidata dal luglio dell’anno precedente da un uomo a lui molto vicino, Benigno Zaccagnini. Moro condusse il suo partito alle trattative per la formazione di un governo che vedesse il sostegno del PCI. In una prima fase, ciò si tradusse nella formula del governo delle astensioni, un monocolore democristiano sorretto dalle astensioni degli altri partiti, a cominciare dal PCI. Dopo una estenuante trattativa durata 55 giorni, nella primavera del 1978 si aprì una nuova fase che prevedeva un monocolore democristiano, presieduto sempre da Andreotti, con il sostegno esterno degli altri partiti (PCI compreso). Era la formula della “solidarietà nazionale”, che apriva la terza fase della storia politica italiana nella quale, aveva compreso Moro, era esaurita l’egemonia democristiana e si poneva il problema del governo dell’effettivo pluralismo.

Il 16 marzo 1978, il giorno in cui la Camera doveva discutere la fiducia al governo, Moro venne rapito in via Fani e i cinque uomini della sua scorta furono assassinati. La sua prigionia durò 55 giorni e si concluse tragicamente il 9 maggio 1978, con la sua esecuzione da parte dei terroristi delle Brigate Rosse.
IL CONTESTO

A partire dal ’63, il processo riformatore fu praticamente bloccato, anche per il manifestarsi dei primi segni di crisi economica, che sembravano suggerire una politica più cauta. Inoltre, si faceva sempre sentire il peso delle forze ostili al centro-sinistra, che annoveravano tra le loro file, oltre alla destra economica, anche le alte gerarchie militari (nell’estate del ‘64 si diffusero voci di un progetto di colpo di Stato promosso dal generale De Lorenzo, capo sei servizi segreti delle forze armate) e lo stesso presidente della Repubblica, il democristiano Antonio Segni. Ma gli ostacoli più seri a una politica innovatrice venivano dall’interno della coalizione governativa, in particolare dall’esigenza della DC di mantenere unito il composito fronte di forze economiche e sociali che costituiva la sua base di consenso: un fronte in cui le istanze di rinnovamento erano nettamente minoritarie rispetto al peso dei gruppi moderati che avevano accettato a malincuore la politica di centro-sinistra. Nell’atteggiamento della DC agivano anche la visione solidaristica della politica e il rifiuto ideologico di scelte radicali che erano tipici della cultura cattolica e si riflettevano nel modo di operare di un leader come Aldo Moro, tendente a risolvere i contrasti col compromesso e la mediazione (anche a costo di un progressivo svuotamento dei connotati originari del programma di governo).

Se la DC riuscì in questo modo a mantenere la sua unità, il PSI pagò la partecipazione al governo con una riacutizzazione dei dissensi interni e con una nuova scissione: nel gennaio 1964 la minoranza di sinistra – che si opponeva alla scelta governativa e non voleva rinunciare all’alleanza con il PCI – diede vita al Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP).

Nella stessa maggioranza del PSI, come abbiamo visto nel numero 24, si fronteggiavano due linee diverse: una impersonata da Riccardo Lombardi, sosteneva che le riforme dovevano essere “di struttura” e fungere da strumento per il cambiamento del sistema economico-sociale; l’altra, che faceva capo a Pietro Nenni, era attenta soprattutto alla modifica degli equilibri politici e mirava all’unificazione con il PSDI. La fusione sarebbe stata in effetti realizzata nell’ottobre 1966, ma i due partiti si sarebbero nuovamente separati tre anni dopo, in seguito all’esito deludente delle elezioni del ’68. Il disegno di un rafforzamento socialista fallì, in buona sostanza, sia per l’incidenza della scissione del PSIUP (che nel ’68 raccolse il 4,5% dei voti) sia per l’ampliamento dei consensi del PCI.

Un importante tassellalo per lo sviluppo della politica di centro-sinistra fu anche l’elezione del presidente della Repubblica che si tenne nell’agosto del 1964 a causa dell’impossibilità di Antonio Segni (eletto nel 1962) a continuare il suo mandato, poiché colpito l’11 agosto da una trombosi.

L’elezione di Segni nel 1962 era avvenuta dopo una lunga contrapposizione con Saragat e aveva potuto realizzarsi con i voti della destra liberale, monarchica e missina. Era stato il prezzo che Moro aveva pagato all’unità della DC, da cui era maturato il diktat moderato all’operazione di centro-sinistra. Nel 1964 la situazione era cambiata. I dorotei ormai erano dominanti e si voleva quindi un candidato che ristabilisse gli equilibri interni della DC. Fu scelto Fanfani, che tentò di far convergere su di sé i voti della destra DC con quelli di PSI e PCI. L’operazione non riuscì, soprattutto per l’opposizione della maggioranza DC guidata da Moro, che aveva candidato Leone. I veti incrociati delle due aree della DC su Fanfani e Leone finirono con il ritiro delle due candidature e la convergenza dei voti su Saragat (eletto il 28 dicembre 1964 dopo ben 21 scrutini), una candidatura che per i dorotei di Moro rappresentava il pericolo minore per la strategia di centro-sinistra.

L’unico a uscire rafforzato da questa battaglia per l’elezione del presidente della Repubblica fu Moro, che si era assicurato al Quirinale un sicuro alleato, anche nei confronti della maggioranza del suo partito.

Nonostante le difficoltà incontrate fin dai suoi esordi, la formula di centro-sinistra sarebbe durata, con fasi alterne e interruzioni, per oltre un decennio, con i governi presieduti fino al’68 da Moro, poi da Mariano Rumor (1969 e 1970) e da Emilio Colombo (1970 e 1971 ), ma si sarebbe progressivamente esaurita, rivelandosi inadeguata a fronteggiare i problemi di una società sempre più articolata e percorsa da un’elevata conflittualità politica e sindacale.

ATTUALITÀ


La bandiera italiana

Dopo la nascita della Repubblica, un decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall'Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita all'articolo 12 della nostra Carta Costituzionale. E perfino dall'arido linguaggio del verbale possiamo cogliere tutta l'emozione di quel momento. PRESIDENTE [Ruini] - Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione: "La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni". (E' approvata. L'Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi. Vivissimi, generali, prolungati applausi.).

Repubblica Italiana, 2 giugno 1946.

L'importanza di questo passaggio è testimoniata dall'inserimento nella Costituzione di un articolo - il 12 - compreso tra i principi fondamentali ad esso dedicato: "La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".

La bandiera della Marina Militare (1947)

Nel 1947 oltre alla bandiera nazionale vengono definite anche la bandiera usata dalla marina mercantile, che reca sulla banda bianca uno stemma nei cui quadranti compaiono gli stemmi delle quattro Repubbliche marinare (Amalfi, Genova, Pisa e Venezia); e quella della Marina Militare, nella quale lo stemma è sovrastato da una corona turrita e rostrata, ricordo dell'ammiraglio romano Caio Duilio e delle sue vittorie contro Cartagine.

Un’altra differenza è che nella bandiera della Marina Militare il leone di San Marco (simbolo di Venezia) ha il libro chiuso, la coda alzata e regge una spada (come nella bandiera di guerra della Repubblica di Venezia).

La bandiera della Marina Mercantile (1947)

I toni cromatici dei colori della bandiera della Repubblica Italiana sono definiti dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2 giugno 2004, UCE 3.3.1/14545/1, con i seguenti codici Pantone tessile, su tessuto stamina (fiocco) di poliestere, e dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 aprile 2006: "Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche". (GU 174 del 28 luglio 2006), sono: il verde prato brillante (17-6153), il bianco latte (11-0601) e il rosso pomodoro (18-1662).

Il colore nazionale dell'Italia è invece l'azzurro il quale campeggia parallela-mente alla bandiera in eventi militari, sportivi ed istituzionali.
FONTI E APPROFONDIMENTI

La Storia d’Italia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 22 “Dal centrismo all’esperienza del centro-sinistra”, La biblioteca di Repubblica, Roma, 2004

Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari, Laterza, 2005

A.A.V.V., Enciclopedia della storia universale, Novara, De Agostini, 2000

Attualità: www.corriere.it , http://it.wikipedia.org/wiki/Bandiera_italiana e http://www.quirinale.it/simboli/tricolore/tricolore.htm

A.A.V.V., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano 2002; 1971 e aggiornamenti su CDRom


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Il movimento del ’68 fu per Moro occasione di riflessione politica
 
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