venerdì, marzo 16, 2007

 

IL CENTROSINISTRA IN ITALIA (prima parte)

EDITORIALE

Concludiamo il racconto delle vicende politiche italiane degli Anni Cinquanta e Sessanta con l’accordo che portò per la prima volta in Italia dal 1948 esponenti del partito socialista al governo.

Nella seconda parte, poiché il 7 gennaio 2007 è il 210° anniversario della nascita del Tricolore, descriviamo la storia della bandiera italiana. Buona lettura.

I FATTI

Fanfani il 26 luglio 1960 forma un governo monocolore democristiano con PSDI, PRI e PLI. Nella votazione per la fiducia al nuovo governo i socialisti si astengono.

27 gennaio 1962 congresso DC a Napoli: Aldo Moro pronuncia un lungo discorso di apertura verso i socialisti.

La prudente apertura a sinistra riscuote l’adesione dell’80% del partito.

22 febbraio 1962: governo Fanfani con l’appoggio esterno dei socialisti.

6 maggio 1962: eletto Antonio Segni alla presidenza della Repubblica, con l’appoggio anche della destra parlamentare.

27 novembre 1962: approvata la nazionaliz-zazione dell’energia elettrica

29 dicembre 1962 approvata l’introduzione della cedolare d’acconto sulle azioni quotate in Borsa.

28 aprile 1963 elezioni: cala la DC del 4%,, raddoppiano i voti i liberali all’opposizione del governo di centrosinistra dal 3,5 al 7%, avanzano anche i socialdemocratici (+1,8%), stabili i socialisti, aumenta il PCI del 2,6%.

In seguito alle elezioni si dimette Fanfani e viene nominato Presidente del Consiglio Giovanni Leone (governo DC con l’astensione dei socialisti) , che si dimetterà il 5 novembre.

24 ottobre 1963 congresso del PSI, vince la linea di Nenni (57,4% dei voti) per la partecipazione diretta dei socialisti al governo.

Il 4 dicembre 1963 Aldo Moro forma (con DC, PSI, PSDI e PRI) il primo governo dopo il 1947 con ministri socialisti: il vice-presidente del Consiglio è il segretario Pietro Nenni.

22 luglio 1964: nasce il secondo governo Moro.

28 dicembre 1964: Saragat è il nuovo residente della Repubblica.

23 febbraio 1966: Moro forma il suo terzo governo di centrosinistra.

24 giugno 1968: governo Leone.

12 dicembre 1968: governo di centrosinistra guidato dal democristiano Mariano Rumor.

IL CONTESTO

Per risolvere il problema della debolezza parlamentare dei governi basati sul centrismo (alleanza tra DC, PLI, PRI e PSDI), che avevano avuto necessità di ricorrere ai voti del MSI dopo il mancato appoggio dei liberali, l’ipotesi dell’entrata dei socialisti nell’esecutivo diventò sempre più una necessità politica.

Il bisogno di un governo stabile e più aperto alle riforme necessarie al Paese convinse i riformisti ad appoggiare una soluzione nuova per la politica italiana.

Il primo avvicinamento politico tra PSI e DC, favorito anche dalla politica di sempre più marcata autonomia del partito di Nenni nei confronti del PCI, furono accordi a livello locale, che portarono nel 1961 alla formazione di giunte locali (anche in grandi città come Milano, Firenze e Genova) di centro-sinistra.

Dopo il governo Fanfani di transizione del luglio 1960, che si reggeva anche sull’astensione dei socialisti, l’apertura al centrosinistra poté realizzarsi nel 1962 con il benestare che Moro (segretario della DC) ottenne al congresso DC di Napoli.

Nelle sei ore del discorso di Moro a Napoli si ipotizzava, fra mille cautele l’apertura della DC ad avere nella maggioranza (ma non al Governo) il PSI. Uno dei passi più espliciti della relazione di Moro fu il seguente: “E’ una prospettiva [quella del centrosinistra] che attende, nella difficile situazione italiana dove sono grandi punti interrogativi e scadenze serie ed urgenti, un processo di conseguente attuazione, il quale non significa imprigionamento del PSI in una qualsiasi maggioranza di comodo o la deformazione delle linee essenziali e della funzione del Partito, il che tra l’altro non gioverebbe alla democrazia italiana, ma il superamento dell’influenza presente (e del sospetto di essa) da parte del PCI, per rendere il PSI, nella sua integra fisionomia, totalmente disponibile al servizio della democrazia italiana. Ma questo è il discorso di domani: il discorso di quella alleanza politica organica, di quel reale collegamento, di quella appartenenza ad una comune maggioranza che il Congresso di Milano [del PSI] esclude, come lo esclude, allo stato delle cose, la DC, nella constatazione della rigida impostazione classista del PSI, del suo tormentato processo di totale e effettivo distacco dal PCI, dell’inevitabile peso di talune radici comuni tra i due partiti nella prospettiva di politica estera”.

Il nuovo governo Fanfani del 1962 (DC, PRI, PSDI e appoggio esterno del PSI) si presentò con un programma concordato con i socialisti, che si impegnavano a dare il loro appoggio a singoli progetti legislativi. Fu proprio in questa fase che la politica di centro-sinistra, ancora incompiuta sul piano della composizione dell’esecutivo (i socialisti non facevano parte del governo), conseguì i risultati più avanzati. Il programma infatti prevedeva la realizzazione della scuola media unificata, l’attuazione dell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione, l’imposizione fiscale nominativa sui titoli azionari e la nazionalizzazione dell’industria elettrica. Queste due ultime riforme, che erano state da tempo richieste dai socialisti come condizione per il loro ingresso nella maggioranza, miravano a introdurre dei correttivi nella struttura del capitalismo italiano e si inquadravano nel tentativo di dare avvio a una programmazione economica, nucleo qualificante e obiettivo prioritario del disegno riformatore: un disegno che mirava a potenziare gli strumenti dell’intervento statale sull’economia, al fine di ridurre gli squilibri della società italiana e soprattutto il divario tra Nord e Sud.

Nel dicembre ’62 fu approvata la legge di riforma che istituiva la scuola media unica, abolendo gli istituti di avviamento professionale (destinati, nel vecchio ordinamento, a coloro che non avevano la possibilità di proseguire gli studi) e portando la frequenza scolastica obbligatoria a 14 anni. Breve vita ebbe invece la nominatività dei titoli azionari, che fu radicalmente modificata già nel ’64 dopo una fase di crollo in borsa e di fuga all’estero dei capitali. L’attuazione delle regioni, temuta dalla DC perché avrebbe rafforzato le sinistre al livello del potere locale, fu rinviata. Quanto alla politica di programmazione, essa non riuscì mai a tradursi compiutamente in pratica e rimase il simbolo più evidente dell’utopia riformatrice del primo centro-sinistra. Tale politica avrebbe richiesto infatti consensi politici e sindacali più ampi di quelli rappresentati dalle forze di governo, peraltro già largamente divise. Il contrasto non riguardava solo la quantità e la portata delle riforme, ma anche la priorità da introdurre nella politica di programmazione, che per i socialisti doveva privilegiare gli investimenti e la spesa sociale, mentre per i repubblicani (guidati dal ministro del Bilancio Ugo La Malfa) comportava anche un controllo della dinamica salariale (la cosiddetta politica dei redditi), al fine di commisurarla alla crescita produttiva e di contenere così i processi inflazionistici.

I contrasti nella maggioranza furono esasperati dall’esito delle elezioni dell’aprile ’63. La perdita dei voti della DC e del PSI, il successo dei liberali, che si erano fortemente opposti all’apertura a sinistra, e il rafforzamento dei comunisti accentuarono le resistenze moderate in seno alla DC e inasprirono le divisioni interne del PSI. Un governo organico di centro-sinistra (con ministri socialisti) si formò solo nel dicembre 1963 sotto la presidenza di Aldo Moro e nacque su basi più moderate rispetto al precedente governo Fanfani.


ATTUALITÀ




La storia del Tricolore

È Reggio Emilia la città che ha dato i natali al Tricolore 210 anni fa. A decidere quale bandiera avrebbe rappresentato il primo Stato libero dell'età moderna furono i deputati delle popolazioni di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, seduti nel Parlamento della Repubblica Cispa-dana. Era il 7 gennaio 1797.


Un vessillo militare dei Cacciatori a cavallo della Legione Lombarda, conservata al Museo del Risorgimento di Milano. Risale al 1796.

Ma perché proprio questi tre colori? Nell'Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790 .E anche i reparti militari "italiani", costituiti all'epoca per affiancare l'esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare, i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano, appunto, i colori bianco, rosso e verde, fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione: il bianco e il rosso, infatti, comparivano nell'antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana, che raccoglieva i soldati delle terre dell'Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera.

I tre colori scelti, verde, bianco e rosso, non hanno quindi un valore sentimentale come spesso viene semplificato (il verde come i campi della terra italica, il bianco come la purezza e il rosso come il sangue versato per la libertà) ma sono legati ad antichi stendardi e uniformi dell'epoca in questione.

La prima campagna d'Italia, che Napoleone conduce tra il 1796 e il 1799, sgretola l'antico sistema di Stati in cui era divisa la penisola. Al loro posto sorgono numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica: la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Partenopea, la Repubblica Anconetana. La maggior parte non sopravvisse alla controffensiva austro-russa del 1799, altre confluirono, dopo la seconda campagna d'Italia, nel Regno Italico, che sarebbe durato fino al 1814.

La bandiera viene avvertita non più come segno dinastico o militare, ma come simbolo del popolo, delle libertà conquistate e, dunque, della nazione stessa.

Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna (1815), il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa.

E quando si dischiuse la stagione del 1848 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale.

Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d'indipendenza e che termina con queste parole:"(…) per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe (…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana." Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il rosso delle bande del vessillo.

La bandiera simbolo del Regno di Sardegna (1848-1861) e poi, dopo l’unificazione, del Regno d'Italia (1861-1946)

Il 14 marzo 1861 venne proclamato il Regno d'Italia e la sua bandiera continuò ad essere, per consuetudine, quella della prima guerra di indipen-denza. La mancanza di una apposita legge al riguardo - emanata soltanto per gli stendardi militari - portò alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall'originaria, spesso addirit-tura arbitrarie. Soltanto nel 1925 si definirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest'ultima (da usarsi nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche) avrebbe aggiunto allo stemma la corona reale.

FONTI E APPROFONDIMENTI


La Storia d’Italia, Grandi Opere di UTET Cultura, Vol. 22 “Dal centrismo all’esperienza del centro-sinistra”, La biblioteca di Repubblica, Roma, 2004

Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Bari, Laterza, 2005

Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2004

Indro Montanelli – Mario Cervi, Storia d’Italia – L’Italia dei due Giovanni, Milano, Rizzoli, 1989

A.A.V.V., Enciclopedia della storia universale, Novara, De Agostini, 2000

Attualità: www.corriere.it , http://it.wikipedia.org/wiki/Bandiera_italiana e http://www.quirinale.it/simboli/tricolore/tricolore.htm

A.A.V.V., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano 2002; 1971 e aggiornamenti su CDRom


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